C'è un terzo attore nella trattativa mai nata tra De Laurentiis e Ultras. Le posizioni di presidente e gruppi organizzati sono inconciliabili. Entrambi impegnati, con gli strumenti a disposizione, a produrre lo sforzo massimo per dimostrare il proprio potere, legittimo e non.

Ma tra le due fazioni aleggia un'eminenza grigia. Una mano occulta che, come spesso accade in queste storie all'italiana, rappresenta il mondo di mezzo e agisce attraverso protocolli non ufficiali. E anche nel mondo ultras iniziano a farsi largo strani pensieri.

Il Napoli e Napoli

Il club ha deciso la sua rotta nel 2004, il giorno prima di mettere le mani sulla carta che le ha consegnato il titolo. Quell'estate non c'erano i palloni e tutta la retorica narrativa che conosciamo a memoria, ma il moral planning era già deciso: il Napoli non avrebbe intrecciato rapporti con tutto quello che in questa città è opaco. Costi quel che costi.

Ed è andata esattamente così. Nessuna sede nel salotto buono, nessun training center in città, squadra blindata, codice etico per i tesserati, rapporti con la stampa essenziali, nessun ex della prima repubblica scudettata in società, nessun rapporto privilegiato tra i senatori dei media locali, nessun intellettuale di rappresentanza al quale affidare la propria voce e nessuna banca da cui dipendere e affidare le proprie sorti.

Una conduzione a tenuta stagna che ha fatto il paio con la razionalità economica con la quale è stato gestito il club. Una realtà indipendente che le classi dirigenti e intellettuali indigene hanno potuto solo osservare da lontano, successo dopo successo, senza mai correre neanche il rischio di poterci mettere le mani. Devono essere stati anni difficili per chi aspettava una chiamata o aspirava a una fetta della torta.

Il filo rosso

È nell'anno più bello della gestione che si sono attivati gli anticorpi della società civile napoletana. Molti aspetti lasciano credere che gli ultras siano diventati uno strumento, a loro stessa insaputa. Le loro motivazioni, che non tratteremo in queste righe, ritornano utili a chi ha interesse a mettere in crisi il sistema De Laurentiis o quanto meno isolarlo.

C'è un filo rosso neanche più tanto sottile che unisce diversi episodi accaduti negli ultimi mesi. Dalla bomba carta introdotta dai laziali, ai fumogeni lanciati dalla Curva B domenica sera contro il Milan.

Nel momento di massima tensione delle autorità, che stanno gestendo la crisi ultras cittadina, è difficile pensare a una falla nel sistema di filtraggio. Grave quella che è costata un ferito contro la Lazio, ma ancor più grave la dozzina abbondante di fumogeni introdotti domenica sera e che potevano costare la squalifica del campo. Ma non solo. Anche la scelta del percorso concesso ai tifosi del Francoforte è un giallo di cui si è parlato troppo poco. Una trappola bella e buona. Far stazionare i tedeschi per lungo tempo a Piazza del Gesù è stata una scelta scellerata se si considera anche il numero ridotto di agenti impiegati nell'occasione. Una provocazione alla quale non tutti hanno saputo resistere. Vedere i tifosi dell'Eintracht imperversare nel cuore pulsante della città, a pochi passi dai quartieri, non poteva lasciare indiffirenti chi da anni rincorre lo status di difensore della città. Tre indizi gravi, precisi e concordanti fanno una prova?

Anche nel mondo Ultras girano sospetti

Il conflitto che diventa giorno dopo giorno sempre più esasperato è una forzatura storica. Sarà difficile spiegare ai nati dopo questa stagione le ragioni di quello che sta accadendo.

Anche negli ambienti ultras iniziano a circolare sospetti. Chi crede che al loro interno non ci siano teste pensanti, sbaglia. Organizzazioni così radicate hanno visto diverse generazioni susseguirsi. Alcuni veterani, per motivi familiari, restano in buoni rapporti con i nuclei attivi, li frequentano, e anche se non sono più in prima linea, partecipano come consulenti esterni alle decisioni più importanti.

Chi è fuori ha una visione più distaccata della vicenda e vede delle storture nelle dinamiche sopra descritte. Si inizia a vociferare, timidamente, che le falle del sistema siano inneschi di chi ha interesse a mettere sottopressione la società, la cui richiesta di sussidio - in termini di sicurezza - è assillante, come dimostra la domanda di 10.000 agenti per gestire la festa scudetto da parte del club.

Un tentativo fuori protocollo per esasperare gli animi e costringere il club a concedere una trattativa che difficilmente avverrà. O, in alternativa, a rendersi conto che da queste parti le cose sono più difficili che a Bari, ad esempio. Anche nel mondo ultras si fa avanti l'ipotesi che De Laurentiis sia più solo di quello che sembra. E che qualcuno gli stia dando più di un suggerimento qualora dovesse porsi la questione di scegliere con quale dei due suoi club continuare.

Non ci sentiamo lontanissimi da questa lettura. Se lo pensa chi è dentro, ed è parte avversa al club in questa vicenda, il tutto assume contorni lontani da quelli del complottismo.

Napoli non perdona

Mentre il club è alle prese con una battaglia per la legalità, con una rivoluzione culturale in linea con i tempi moderni e che andrebbe appoggiata in ogni sua sfaccettatura, chi fa opinione continua a riempire il vuoto morale con un passatismo dannoso.

C'è addirittura chi ricorda la sua gioventù anni ottanta e rimpiange i rauti entrati comodamente allo stadio, in un tentativo pericoloso di banalizzazione del male. C'è chi invita bonariamente a imbastire una trattativa che, però, come ci insegna la storia, si è sempre rivelata segno di debolezza e legittimazione di posizioni antisistemiche, che si rafforzano inasprendosi.

La paura di vedere questo Napoli, con le sue idee, essere a un passo dal successo, sta producendo una reazione disperata. Si imputava a questa società di non voler vincere e ora che pare stia per farlo, di risposta, iniziano a gonfiarsi le vene sul collo degli oppositori, per dirla alla Spalletti.

Erano anni che esponenti delle Curve non rilasciavano interviste. Dai tempi del Commando Ultras. Oggi, invece, assistiamo a leader di gruppi organizzati, dal passato ombroso, e giornalisti che collaborano: l'ennesimo miracolo della gestione De Laurentiis.

Napoli è una città difficile. Non lo scopriamo di certo oggi. Non lo scopre di certo oggi De Laurentiis. Il successo non si perdona. Non si perdona tutto quello che funziona senza ricorrere agli stereotipi. Non si perdona l'indipendenza culturale. Non si perdonano i buoni esempi.

Da qui a fine stagione, vedremo altre incongruenze. L'eventuale celebrazione dello scudetto sarà al centro di ulteriori battaglie. Si è deciso che questo Napoli non deve avere pace. Non deve godersi il meritato successo, figlio delle proprie idee e non del volere popolare. Non essendo stato possibile impedire la vittoria, la missione ora diventa rovinare la festa. O addossare al presidente le colpe di qualcosa che potrebbe accadere.