È un lunedì dai toni surreali, ore che accompagnano i pensieri più disparati all’indomani di una sconfitta che fa male come una coltellata alla schiena e non per i fendenti degli uomini dell’ottimo Italiano, ma perché inferta da chi, agli occhi del Presidente, non ti aspetti. De Laurentiis si sente tradito da Garcia, il tecnico che era stato scelto per dare continuità al gioco della squadra e che presumibilmente si era fatto preferire ad altri proprio per il compito che la società aveva deciso di assegnare al successore di Spalletti.
Tecnici emergenti o comunque dai forti principi mal si sposavano con questa idea, c’era bisogno di qualcuno che con malizia cavalcasse l’onda, aspettando che l’inerzia della clamorosa vittoria si esaurisse per poi metterci del proprio.

Sin dal primo momento il diktat era stato chiaro, ci vuole un allenatore che giochi 433 e che aggiunga “qualcosina” del proprio bagaglio tattico, ma così non è stato. Non sappiamo cosa abbia spinto Garcia a voler da subito rompere il patto della continuità, forse l’essere stato messo in discussione sin dal primo giorno ha stimolato il suo ego a tal punto da sentirsi obbligato a dimostrare le sue capacità, allontanandosi pericolosamente da quei principi a cui la squadra si appoggiava con sicurezza.

Sembrava tutto rientrato, con il consiglio dei saggi a dialogare col tecnico e quel venirsi incontro che aveva prodotto due vittorie d’autorità e un’ottima prestazione al cospetto del Real di Ancelotti. La sfida alla Viola era la prova del nove, la partita che doveva suggellare il ritrovato concorso di intenti e rilanciare il Napoli quale accreditata alla vittoria finale, al pari delle milanesi. Già dai primi minuti si era capito che qualcosa non andava, ma la squadra, pur con difficoltà, riusciva a contrapporsi alle splendide geometrie disegnate dal vate di Karlsruhe, tutto questo prima dell’irreparabile.

Ci sono momenti nell’arco di una partita che determinano inesorabilmente il risultato, attimi talmente lampanti da essere visibili anche agli occhi degli osservatori meno attenti, ebbene la sliding door che indirizza la partita e apre uno squarcio forse irreparabile nel rapporto tra Garcia e ADL, ha minuti e secondi precisi.

Anguissa è a terra, ha appena sentito tirare dietro la coscia e lo staff medico fa segno alla panchina che la partita del camerunense finisce qui. Garcia manda a scaldare Cajuste e Raspadori, il primo sostituto ideale per caratteristiche del 99, il secondo una punta (per sua stessa ammissione) già più volte sballottolato in stagione in più ruoli, ma mai in quello naturale.

Sarà proprio Jack a subentrare e da quel momento la partita del Napoli può definirsi esaurita e forse anche la credibilità che il tecnico francese stava a poco poco riguadagnando agli occhi di squadra e tifosi.
Gli azzurri riusciranno anche a pareggiarla all’ultimo respiro del primo tempo e sfruttando un secondo errore dei viola avranno, sempre con Osimhen, la possibilità di cogliere un inaspettato e immeritato vantaggio, ma sarebbe stato troppo.

Raspadori, un attaccante, proverà senza mai riuscirci a limitare la fonte del gioco di Italiano, portato a spasso da Arthur fino a quando Garcia, capito il clamoroso errore, proverà a tornare sui suoi passi, inserendo Cajuste per ritornare al 433, ma sacrificando Politano, uno dei pochi a salvarsi fino a quel momento.

A fine partita Garcia si assumerà la responsabilità della sconfitta, ma non prima di aver provato ad imputare il risultato a chissà quale mancanza dei propri ragazzi. Quei ragazzi che lui ha tradito con una scelta incomprensibile e che ha consegnato centrocampo e match ad una squadra dalle poche individualità, ma dalla magistrale organizzazione e consapevolezza dello spartito da seguire.

Più volte inquadrato, dalla sua poltroncina in tribuna, De Laurentiis mostrava un volto tiratissimo, occhi lucidi e lo sguardo di chi in quel momento non era più con la testa al Maradona. Chissà cosa gli passava per la testa, lui che nonostante il carattere fumantino ha sempre visto nell’ esonero una scelta ben oltre l’estremo.

Oggi è difficile, se non impossibile, provare a ricomporre i cocci di una stagione che pare già segnata a pochi mesi dal suo inizio.

De Laurentiis non va giudicato per la scelta Garcia, il principio era giusto, ma per quello che farà oggi, perché il rischio di una stagione dai tratti altalenanti è forte e questa società non può permettersi di mancare la qualificazione alla prossima Champions. Decisioni forti destini forti, decisioni deboli destini deboli.