Rudi Garcia è solo l'ultimo degli allenatori di caratura internazionale che hanno manifestato insofferenza nei confronti della stampa locale. Prima di lui è accaduto a Rafa Benitez, Carlo Ancelotti e ultimo a Luciano Spalletti. Per caratura internazionale si intende non per forza una bacheca colma di trofei europei, ma anche una conoscenza della materia che va oltre il provincialismo della Serie A. Allenatori che non capiscono solo di calcio, ma che portano con sé un bagaglio culturale superiore alla media dei propri colleghi tutti campo e public relation.

Nella conferenza stampa di presentazione per Verona Napoli, Rudi Garcia non le ha mandate a dire. Ha manifestato tutta la sua delusione non tanto verso le critiche di campo, ma soprattutto verso i giudizi umani che si sono sprecati dopo la sconfitta contro la Fiorentina. Gli errori tecnici del francese sono sotto gli occhi di tutti ed è stato il primo ad assumersi le responsabilità. La sua gestione fin qui è quanto meno discutibile, non ci piove. Ma questo non giustifica attacchi personali all'uomo. Del quale sappiamo troppo poco. Si è discusso, in video e su carta stampata, della sua moralità. Di quanto poco dignitoso fosse restare attaccato alla panchina nonostante la delegittimazione messa in atto dal Presidente Aurelio De Laurentiis, in camera caritatis, alla Luiss, qualche giorno fa. Lo stesso trattamento fu riservato ad Ancelotti: "il pensionato che era venuto a sistemare il figlio". O a Benitez: "più interessato alla tavola che al campo". Tutte delegittimazioni umane volte a giustificare, neanche troppo velatamente, il perché avessero scelto proprio quella Napoli che, prima dell'avvento di De Laurentiis - esclusa la parentesi Diego - era riconosciuta come periferia del calcio che conta.

Il Napoli non è in cerca di amici

Oltre a spiegazioni che rientrano nell'ambito delle debolezze umane, ci sono anche motivazioni pratiche. E, in parte, la risposta l'ha data proprio il presidente al termine della conferenza stampa di oggi. In un fuori onda, al termine delle domande per Garcia, si coglie uno sfogo del patron verso la stampa: "Troviamo offensivo che si riportino fatti inventati. Quando vi chiamo per chiedervi spiegazioni, mi rispondete che lo avete fatto perché nessuno vi ha risposto. Ma questa non è una giustificazione. Così si svilisce la professione". Ineccepibile, se solo non fossimo a Napoli. E se l'astio verso questa dirigenza non risalisse ai primissimi anni di vita del nuovo corso.

Apriti cielo. La casta si è offesa e compatta parte all'attacco. Alcuni hanno riattivato i propri profili social impolverati per urlare la propria indignazione verso chi ha osato criticare il loro insindacabile operato. Altri non ricordavano la password e ne hanno dovuto aprire di nuovi, surfando sull'onda emotiva dei tifosi che, dopo un anno di penitenza, sono tornati a sguazzare tra gli slogan riposti nello stanzino dell'incompetenza o in quello della malafede.

Napoli è l'unica grande metropoli d'Italia ad avere una sola squadra e il Napoli è l'unica grande società ad avere una città intera contro. Al club non si perdona di aver vinto. Non si perdonerà mai il fatto di averlo fatto a modo suo. Non lo farà la stampa brevettata d’orgoglio, forgiato a fuoco a mo’ di lettera scarlatta sul petto, né tantomeno il commentario di una platea che non ha contezza della propria storia, platea che si è lasciata trascinare nel vortice della vittoria a tutti costi come l'unica forma riconosciuta di appartenenza. E che, dopo anni, ancora non riesce a comprendere che l'unico a fare gli interessi della maglia è proprio il club. A differenza della stampa, che fa l'interesse degli editori.