Ci sono prenditori e imprenditori. Bene. Quante volte abbiamo sentito De Laurentiis fare questa distinzione? Un argomento sacrosanto, su cui batte spesso il presidente del Napoli, soprattutto quando si riferisce alla pochezza dei suoi omologhi che, nella loro crassa insipienza, guidano i club del principale campionato italiano di calcio.

Dunque, da una parte c’è chi ha come unico scopo quello di perpetrare un sistema che si trascina in avanti perennemente a debito, incapace com’è di rendere competitiva la propria squadra e sostenibili le finanze societarie – e ce ne sono tanti in Serie A –, e dall’altra, invece, c’è chi ha saputo creare valore dal nulla, che fa andare di pari passo risultati sportivi e bilanci in attivo. O che, addirittura, riesce a dotarsi del “miglior centro sportivo d’Europa” (un ecomostro che ha consumato due ettari di suolo, approvato con l’ennesima variante urbanistica in deroga alle leggi regionali).

Manfredi, i consiglieri e l’odio per il Napoli

E allora veniamo al tema caldo di questi giorni. Durante il pre-match di Real Madrid-Napoli, in un’intervista piuttosto su di giri rilasciata ai microfoni di Prime Video, il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis è passato (di nuovo) all’offensiva nei confronti del Consiglio e della giunta comunali seguendo un po’ il vecchio refrain della “napoletanità”: il sindaco Gaetano Manfredi, in poche parole, non sarebbe un interlocutore affidabile perché juventino, mentre i consiglieri sono stati accusati persino di odiare il Napoli.

Ma cos’è questa napoletanità in cui si rifugia de Laurentiis ogni volta che affronta un tema delicato? Il patron azzurro è un uomo intelligente, quando utilizza questo termine certamente non si riferisce a immaginifiche identità oleografiche da triccheballacche. Lo sa anche lui che questi sono solo discorsi per fare presa sulla parte meno avveduta di stampa e pubblico.

E allora, di nuovo, cos’è la napoletanità? Senza timore di smentita – anche perché a pensar male si fa peccato, ma spesso e volentieri ci si indovina – possiamo dire che essa corrisponde al suo interesse personale. Non a caso, il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, va da sé, è un degno partner istituzionale perché ha messo 1,5 milioni di euro per i lavori dell’ex San Paolo in occasione delle Universiadi. Uno stadio di cui, per la cronaca, il Napoli è il maggior usufruitore.

Ma non solo: da Palazzo Santa Lucia, ricorderete, è arrivato anche un altro milione di euro per l’organizzazione della festa Scudetto. E lo stesso discorso vale per lo stimatissimo Marco Marsilio, Presidente della Regione Abruzzo, che nelle casse del club azzurro sborsa 1,2 milioni all’anno per ogni ritiro estivo fatto a Castel di Sangro.

Tranquilli, però, che non siamo ingenui: qui non si chiede a De Laurentiis di dare al Napoli una funzione sociale (commoventi i discorsi in cui ci si chiede furibondi “cosa ha dato alla città”) o di prendere ai tavoli istituzionali scelte assurdamente antieconomiche. No, il discorso non è questo. Il problema, però, è che il presidente ciclicamente torna alla carica con un pressing piuttosto aggressivo sul Comune di Napoli, come se il suo interesse corrispondesse a quello della città di Napoli.

Il Maradona, d’altronde, è una delle principali infrastrutture, non solo sportive, comunali e una delle poche redditizie (c’è, infatti, il Napoli che versa un canone annuo irrisorio di 835mila euro, ma poi ci sono anche le entrate derivanti dai concerti e dalle attività dei soggetti privati che usufruiscono degli spazi in loco per le attività sportive e ricreative). Tutto questo a fronte di un bilancio disastroso, che attesta chiaramente come il Comune versi in una situazione di predissesto.

E allora perché la giunta dovrebbe vendere lo Stadio a un prezzo irrisorio o darlo in concessione per 99 anni senza alcun adeguato sacrificio da parte del Napoli, quali, ad esempio, le spese per gli oneri di urbanizzazione? De Laurentiis, allora, accetti che esiste un legittimo gioco delle parti, che in questo caso coinvolge rilevanti interessi pubblici, e smetta di tenere puntata la rivoltella della costruzione di un nuovo impianto altrove, che rischierebbe di farlo impelagare in ben altre seccature. Anche perché, dall’altra parte, c’è una giunta che ha già speso 850mila euro per le celebrazioni del maggio scorso e che, giusto un anno fa, ha stanziato 2,4 milioni per l’ammodernamento del Maradona.

L’interesse pubblico e industria calcistica

Dunque, dicevamo che ci sono prenditori e imprenditori. E, se De Laurentiis non è un prenditore, certamente in questo non è diverso da tutti quegli altri presidenti che ritengono che le istituzioni siano né più né meno che un bancomat. E quei presidenti si chiamano James Pallotta, Dan Friedkin, Paolo Scaroni e Steven Zhang. Esempi, come dire, non propriamente lusinghieri.

Non va assai di moda scriverlo di questi tempi, ma forse sarebbe giunto il momento di chiarire che in un Paese normale l’interesse pubblico (e generale) non passa per l’assecondare i desiderata dei potenti dell’industria calcio. E che, forse, la strada giusta da perseguire è quella dei tavoli, della mediazione, del coinvolgimento di tutte le parti. Se ne parla poco, ma l’accordo tra il Bologna e l’amministrazione del capoluogo emiliano per i lavori del Dall’Ara è un precedente, se non virtuoso, quantomeno preferibile rispetto al pressing mediatico che di solito i presidenti di club fanno sugli enti locali.

Non ce ne voglia De Laurentiis, ma la sua intervista è stata quantomeno inopportuna. Soprattutto tenendo conto degli sforzi che sta facendo e delle difficoltà che sta attraversando il Comune di Napoli. Sia detto, ovviamente, senza prendere le parti di un Consiglio Comunale che sul tema si sta mobilitando come non mai: solo a Napoli, infatti, il calcio muove simpatie e voti a con un dibattito pubblico i cui toni e argomenti sono lazzaroni e plebeistici. Ma questo è un altro discorso.