Nel 2013, la ludopatia o disturbo da gioco d’azzardo è stato inserito nelle cosiddette dipendenze comportamentali, al punto tale da spingere chi ne è afflitto a un crescente desiderio di puntare cifre sempre più alte, spesso superiori alle proprie possibilità, arrivando alla completa perdita di controllo sul gioco d’azzardo. Un'indagine dell'Istituto Superiore della Sanità, nel 2018, ha stimato in circa 1,5 milioni (2% della popolazione) gli italiani inghiottiti da questo disturbo. Disturbo che si manifesta già a partire dai 14 anni, in piena età adolescenziale.

Le cause sono il più delle volte sociali, amplificate da un crescente desiderio di arricchirsi e vivere una vita al di sopra della media, proprio come quelle patinate di influencer e vip. Recentissimi studi hanno infatti dimostrato che il numero delle giocate tende ad alzarsi nei periodi di crisi economica, quando la disperazione spinge a tentare la fortuna come unico rimedio al disagio finanziario.

Ma cosa dire quando i protagonisti sono ragazzi privilegiati, noti al grande pubblico e in condizioni economiche vantaggiose? E sì, perché negli ultimi giorni si sta provando a giustificare l’ennesimo scandalo che ha colpito il nostro calcio sfruttando in maniera superficiale un problema reale che colpisce soprattutto le fasce sociali più deboli.

In Serie A la percentuale di ludopatici schizza dal 2 al 10%

Stando alle indiscrezioni rilasciate dall’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona, sarebbero almeno 50 i nomi coinvolti nella sola Serie A, un numero che cresce di giorno in giorno e che sta scuotendo dalle fondamenta il già fragile e misero calcio nostrano. Perché se in Italia circa il 2% della popolazione soffre di ludopatia è quantomai curioso che il numero di calciatori “pizzicati” sia così cospicuo. Considerando circa 500 calciatori appartenenti alle rose di Serie A parliamo di un 10% di coinvolti, se le anticipazioni saranno confermate. Che tra questi nomi ci sia effettivamente qualche sfortunato ludopatico è più di una possibilità, ma gli altri?

La realtà potrebbe essere molto più cruda e spiegherebbe il susseguirsi di eventi dolenti, giustificati in maniera goffa da chi ormai ha perso ogni straccio di credibilità agli occhi degli sportivi italiani e di chi non vede nella serie A un prodotto su cui investire, invendibile visti i presupposti. Ecco che l’assunzione di sostanze dopanti è frutto del caso, la falsificazione dei libri contabili uno screzio privo di dolo e il caso scommesse solo il frutto di una tremenda patologia.

Non è casuale che certi atteggiamenti, lontani dall’etica sportiva e dalle regole, trovino terreno fertile in un contesto privo di figure di provata integrità, andando a inquinare senza soluzione di continuità uno dei principali asset del nostro paese, un’industria da miliardi di fatturato gestita secondo principi clientelari e di connivenza, piuttosto che seguendo dinamiche organizzative che ne agevolino la crescita. Speriamo che questo possa essere l’ultimo atto di una gestione scellerata e che chi è al comando abbia il buonsenso di lasciare la propria poltrona difesa ad ogni costo.