Sembra di rivedere quei domini ferraristi con Schumacher alla guida. O le passerelle del Dream Team all’Olimpiade di Barcellona 92. Il Napoli ha semplicemente scritto una delle pagine più sconvolgenti, per ferocia e costanza, da quando l’uomo ha inventato il pallone e lo ha portato in Italia.

E allora, al tifoso, che resta? Anzitutto, godersi il percorso. E non è poco. Per dirla in termini ciclistici, lo scorcio dell’Arc de Triomphe è sempre più prossimo e la maglia sempre più gialla; ogni chilometro ci avvicina ad una festa che si preannuncia maestosa e senza freni, come un campionato sì dominato merita.

Ma oltre al razionalismo sentimentale – che di per sé, in una piazza così facilmente suggestionabile, mi sembra ottimo punto di partenza – c’è un non detto che, a dirla tutta, serpeggia languido nel sottobosco emozionale napoletano.

Sì, perché nella stagione dei due tronchi, col mondiale qatariota in mezzo, le gerarchie sembrano rimescolate, anche e soprattutto in Europa. Suggestioni, per carità.

D’altronde, alla Coppa con le grandi orecchie, bisogna ammetterlo, abbiamo approcciato sempre col fare del parvenu; legittimo, per chi, in oltre novant’anni di storia, si è dimostrato al massimo comprimario, mai protagonista. E d’altra parte, noi stessi, guardandola come una inarrivabile chimera, diciamolo senza indugi, l’abbiamo sempre nel profondo ignorata.

Una conoscenza mai approfondita; non siamo mai andati oltre ad un invito, ad una presenza e ad un saluto d’osservanza.

Scomoderei una sceneggiatura ozpetekiana. Azzurro Istanbul, il titolo. Una favola moderna.

Oggi, questo meraviglioso giovanotto di nome Napoli, rasato e ben profumato, in tuxedo blu e senza cravatta, sguardo profondo e navigato, ma occhi reattivi e spalle forti da conoscitore della profondità del mare, non resta più inosservato.

Sulla meravigliosa terrazza sul Bosforo, la serata procede spedita; ognuno racconta vantandosene le proprie imprese. Mentre Napoli ascolta, taciturno e sornione. Incrociando uno specchio, una panoramica della compagnia, un rapido sguardo a sé stesso: in mezzo a tutti questi che fino a un tempo erano inarrivabili, nessuno è come me, confessa.

E pure Madama Champions, che a fine serata concederà un ballo al più meritevole.

Ad oggi ne sono rimasti in 15, oltre a lui. Qualcuno ha cominciato a prendere la giacca, uno spagnolo in smoking bianco si è appena versato un Cardinal Mendoza, accomodandosi su un’ottomana. C’è fermento, ma Napoli resta lì, rasserenato. Non si è mai trovato in questa situazione, solo una volta è rimasto tanto a lungo, ma questa volta è diverso.

Anche gli altri, gli storici frequentanti dell’èlite, cominciano a scrutarlo con interesse; alcuni, due milanesi, con la circospezione di chi sa. Altri, come l’inglese in giacca turchese, con ammirazione languida. Nel giuoco di sguardi, che precede l’uscita di otto pretendenti, è Napoli quello che non teme il confronto con alcuno. Regge, non abbassa la testa, e più lo fa, più si fa forza.

È Napoli il protagonista di questa fiaba da mille e una notte. Chi vuol capire, capisca.

Non sappiamo ancora come andrà a finire, seguiranno aggiornamenti. Ma, archiviata la cronaca di una maratona scudetto, un’idea per il tifoso è quella di aspettare giugno, tuffandosi in una favola cinematografica, per un finale… da sogno. E, conseguentemente, alzare l’asticella verso la leggenda.