La Lega Calcio è a un bivio: tra vivere o morire proverà a sopravvivere, procrastinando le decisioni. Tra ipotesi sempre più realistiche di commissariamento delle principali istituzioni che la regolano e l'inizio di processi che potrebbero dare il colpo definitivo alla credibilità di un sistema che galleggia da oltre due decenni in un mare di connivenze, tenta la manovra disperata di salvataggio. La scialuppa è un piano di proposte per riformare il calcio, più precisamente dedicate al mondo arbitrale, volte a ridurre all'osso il potere decisionale del fischietto in campo. Si discuterà di fuorigioco semi automatico e della possibilità di introdurre il challenge per le panchine. Ma la sensazione è che non basterà. Sarà la cosiddetta acqua che non leva sete. C'è un vuoto di potere e Aurelio De Laurentiis tenta la scalata.

Nemo propheta in patria

Le ultime due assemblee sono state decisamente movimentate. A squarciare il velo della mediocrità decisionale il solito, indomito, Aurelio De Laurentiis. E chi sennò. L'unico ad avere i gradi per rilanciare il calcio italiano, ma talmente poco ricattabile e lontano da logiche di compromesso che non vedrà mai riconoscersi l'opportunità di ricoprire un ruolo chiave. Eppure il suo Napoli è un modello economico e tecnico che andrebbe studiato ed emulato. Una case history che assume toni ancor più clamorosi perché sviluppatasi in controtendenza alle dinamiche dell'insieme a cui fa parte. Il club partenopeo è riuscito ad auto imporsi delle regole interne sin da subito e nonostante il mondo fuori andasse in direzioni opposte ha avuto la forza di perseguirle. Anche a discapito della sua stessa popolarità, in Italia come in città. Tutt'altra storia all'estero, dove gode di rapporti di fiducia basati su una credibilità solida e riconosciuta anche sul mercato.

La città, dicevamo: ha impiegato diciotto anni e un primato in classifica solido per concedere una parvenza di tregua e iniziare a valutare con un minimo di serenità la strada intrapresa, con riserva almeno fino al prossimo pareggio casalingo. Un ritardo decisamente colpevole, che si trasforma in arma per chi vede De Laurentiis come ostacolo alla conservazione del proprio potere. L'opposizione al patron azzurro inizia proprio tra le mura amiche, che a suon di realtà distorte ed etichette sgradevoli ha tentato in tutti i modi di isolare una delle voci più libere dell'intero movimento, il più delle volte relegandolo a ruolo di casinista o nella versione opposta, ma anche peggiore, di connivente.

Non pochi sono i tifosi azzurri che lo hanno criticato per le sue numerose uscite anti sistema, convinti che queste avessero potuto minare le sorti sportive del Napoli, vittima di vendette trasversali in campo. Anche all'ombra del Vesuvio l'idea che la strada giusta da perseguire fosse l'omertà, a tratti, è andata per la maggiore, vendendo l'anima al diavolo nella speranza che il sistema lasciasse qualche briciola di trofeo. Ma non pochi sono anche i tifosi azzurri che lo hanno criticato per non essersi lamentato abbastanza dopo alcuni torti subiti. Spesso gli urlatori di entrambe le fazioni sono coincisi.

Usciamo dalla FIGC

Non è un segreto, il sogno ricorrente del presidente del Napoli è quello di uscire da una federazione che esercita il proprio ruolo senza il giusto appiglio imprenditoriale. Che tratta il calcio come un business di poltrone dimenticando invece che è tra i maggiori comparti industriali del paese. Un immobilismo che ha registrato fallimenti di ogni natura, dallo sviluppo del settore giovanile, alla Nazionale, dagli stadi di proprietà alla vendita dei diritti Tv. Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che il movimento si gioca le residue chance per restare in piedi.

Aurelio De Laurentiis lo sa bene e prova a piazzare la spallata decisiva. Stanco di vedere trattare dinosauri per conto suo, l'idea del patron azzurro è quella di demansionare la FIGC a segreteria di una nuova lega gestita interamente dai club. Un circuito che preveda comunque logiche sportive basate sulla meritocrazia, ma che agisca come un corpo unico, snello, di fronte alla possibilità di creare business e vendere al meglio il proprio prodotto su mercati mediatici in continua evoluzione.

Tutto parrebbe giocare a suo favore: la Juventus che taglia in un sol colpo i quadri dirigenziali e sembra prepari il delisting con un opa per uscire dalla Borsa entro i prossimi sei mesi, forse con prospettive di cessione; l'Inter che dopo aver sparato le sue cartucce nel biennio contiano sembra distratta dalla ricerca di nuovi acquirenti; il Milan che ha iniziato un percorso virtuoso da qualche anno; l'Aia in subbuglio per lo sconcertante caso D'Onofrio e la ridiscussione dell'accordo per i diritti tv, in scadenza nel 2024. Eppure abbiamo una strana sensazione.

Oggi, l'ultima assemblea dell'anno

La sensazione è che il patron azzurro stia per chiamare un all in. Nel quale si gioca anche la sua permanenza nel settore calcio. Non avrebbe senso continuare a lottare tra gli squali, visto che già in patria non gode di una gratitudine proporzionata ai risultati raggiunti, nonostante mantenga il Napoli ai vertici del calcio italiano e nonostante le ultime intercettazioni abbiano elevato a impossibile il coefficiente di difficoltà per la vittoria dei campionati scorsi.

Oggi andrà in scena l'ultima assemblea di Lega dell'anno per i club di Serie A. Alle proposte già avanzate, De Laurentiis aggiungerà la possibilità di aprire una Radio Tv istituzionale. Ma il vero obiettivo è quello di provare a diminuire il numero di squadre iscritte al campionato. Il presidente del Napoli spiegherà che la riduzione a 18 squadre - ma il suo obiettivo è 16 - garantirebbe al campionato maggiore competitività e spettacolarità rendendo più semplice e remunerativa la vendita dei diritti in Italia e all'estero.

Tutto o niente

La partita che sta giocando De Laurentiis in questi giorni ha il sapore di una finale. Il sistema produce anticorpi potentissimi e anche se morente riesce sempre a trovare il colpo di coda necessario per allungare la propria agonia e rivendersela come riscatto. Almeno fino al prossimo scandalo - per quanto è grave la situazione sarà un lusso poterlo eventualmente raccontare - quando tutti cadranno dalle nuvole nuovamente e concederanno alle telecamere la loro finta indignazione.

Al presidente del Napoli resta l'obbligo di giocarsi tutte le carte possibili. Compresa quella di sabotare le riunioni di condominio portando dalla sua altri presidenti, uno alla volta. O urlando a due centimetri dagli occhiali di Lotito, appannandoli più di quanto non siano le sue strategie conservative. Oppure dando del fallito a Gravina, ricordandogli l'esperienza presidenziale di Castel di Sangro.

L'esito di questa scalata sembra scontato perché De Laurentiis al momento è solo. Ma nonostante questo vanta già qualche battaglia vinta, come l'introduzione di altri sponsor sulla maglia, la panchina lunga, le cinque sostituzioni, l'introduzione del Var, la proroga alla multiproprietà e si appresta a vincere anche quella del challenge. Non è stato un bravo politico. Ma se lo fosse stato, oggi non potrebbe farsi garante di una discontinuità necessaria per uscire da questa empasse.

La buona notizia è che oltre a De Laurentiis anche il calcio è solo. Abbandonato anche dal ministro Abodi che non ha intenzione di fare regali sulla questione IRPEF, che pesa sul movimento per circa 480 milioni. Se non siamo al cospetto di un annuncio meramente populista, ma reale, e si andrà verso un orientamento che valorizzi gli esempi virtuosi, allora De Laurentiis è tra i più preparati degli attori rimasti in scena e ci saranno le condizioni necessarie per compiere la scalata.

Fino al Palazzo.