Anche il freddo Libeccio di pieno inverno spira sulla cuspide dell'alabardo del Napoli in un climax di albe notturne per emozioni incendiarie.

Dei big match degl'ultimi mesi, la Roma che tocca affrontare al Maradona è la più spigolosa delle compagini d'alta classifica presentatesi a Napoli infarcite di cinici propositi e letargiche ambizioni.

Mourinho, in barba alle molteplici vicissitudini intestine che gli impongono l'undici titolare, imbottisce la squadra di muscoli per estirpare le radici di gioco del Napoli dalla mediana in sù, e far andar a sbattere incursori, esterni e i tre attaccanti partenopei contro l'armatura ignea concepita da 5 avamposti a protezione dell'aria di rigore e due maracantoni, Cristante e Matic, ad ergersi a diga della stessa.

La volontà precisa della Roma di sfruttare il contrattacco e abbassare il baricentro di costruzione di 25-30 metri per favoreggiare il pressing ombroso con i tre propri attaccanti esposti sotto palla, ha infiocchettato lo scacchiere della gara, poggiato su un cordolo tattico di spazi occlusi e linee di passaggio da dischuidere per i giocatori del Napoli. Per questa motivazione pragmatica, imbibire la fluidità di palla oltre il consueto ha portato alla lunga la contesa ad appannaggio dei ragazzi di Spalletti, che con questo successo si spalancano le porte d'una eterna primavera.

Il leitmotiv azzurro di accorciare campo in avanti ha subito serie discontinuità durante la gara. Lobotka ha filtrato e giocato poco ad inizio partita, coprendo più terreno all'indietro. Fin troppo sensibili Rui e Di Lorenzo a prevedere le preventive e garantire coperture, dando apertura all'esterno d'attacco. Arduo per il capocannoniere Osimhen mangiare campo alle spalle della linea difensiva, quanto per i terzini azzurri ammantare la manovra alla demarcazione dell'area avversaria; derivazione coerente a queste condizioni tattiche i primi 15 minuti di studio delle distanze. Fin quando Zielinsky mette in atto la fantasia e sul primo efficace passaggio d'imbastimento di Lobotka, aggira con una finta il fastidioso oscurantismo di Cristante, si crea spazio per lo scarico sul versante sinistro di competenza di Kvaratshkelia e finalmente si può sfogare il flirt offensivo con il torello palla avanti palla dietro sulla seconda linea tra il Georgiano e Mario Rui, fin troppo abile a calamitare la pressione, districarsi dal ginepraio di gambe e riservire al 77 il pallone da scodellare al centro con minuzia. La giocata che mette Kvara sul piede non prediletto è l'harakiri di Mourinho, che si era premurato di non lasciarlo accentrare per battere a rete, come però già successo pochi minuti prima, e lasciargli il piede 'debole'.

Kvara fa il Kavaravaggio con il sinistro per creare la traiettoria giusta ed assegnare ad Osimhen, che repentinamente prende posizione e intuizione sul secondo palo, il cross perfetto. I tre difensivi romanisti, con addirittura Pellegrini a piantonare l'area piccola, pur senza sfalsarsi, perdono le corte misure d'aggressione e assistono al saggio di bravura che esibisce il centravanti nigeriano di razza in poco meno di due secondi: ammaestra di petto, solfeggia di ginocchio e con uno strale accecante quasi spezza la rete alle spalle di Rui Patricio per il visibilio che disottunde i sensi.

Malgrado alcuni attacchi a basso regime della Roma a fine prima frazione, le disarcionanti azioni in cui il Napoli ha rischiato di subire goal sono state a palla coperta, con l'abuso di posizione di Kim in uscita oppure il lieve ritardo sulla copertura preventiva dei terzini Di Lorenzo e Mario Rui sugl'avvolgimenti degli apicali della Roma e i dirimpettai Spinazzola o Zalesky che di sussulto si sono proposti in avanti liberati al tiro.

Il preallarme per scorribande estemporanee della Roma che ricicla il possesso, trova suggello nella ripresa, dove l'inerzia della gara implica una traslazione di uomini chiave in posizioni inattive del campo, con gli esterni schiacciati, Osimhen più isolato a battagliare e difesa arretrata di 20 metri. Assottigliamento dei reparti che fisiologicamente contrae il dispiegamento della truppa azzurra, capace solo a snodarsi in contropiede con Lozano che dilapida il 3 contro due, dopo uscita perentoria dai blocchi sempre di Kim.

Ma la sostituzione della catena sinistra di Spalletti (dentro insieme Oliveira ed Elmas) non controbilancia l'aguzia degli attaccanti della Roma, - anche aggiunti - su quel lato con cui guadagnano zone di campo asserragliando il Napoli. La Lupa ha collezionato nella prima parte del secondo tempo 4 calci d'angolo, ma i pericoli peggiori sono giunti dal potenziamento delle discese di uomini cardine.

Esemplificativo il goal di El Shaarawy - subentrato a sinistra e geneticamente più attaccante di Spinazzola - partorito dall'insistenza di mettere palla dentro il perimetro e fiondare l'esterno a campo invertito. Zaleski crossa morbido dal vertice dell'area, Lozano fallisce la diagonale di posizionamento e d'impatto, avvantaggiando il faraone che è un maestro ad attaccare il palo di riferimento come un avvoltoio, siglando il secondo goal consecutivo al Maradona (unico avversario a riuscirci dal 2020). Pur con un posizionamento stabile dei difensori, il Napoli allenta la presa capitolando sui reiterati assalti giallorossi.

L'onta degli eventi subalterni al proprio destino che genuflette il Napoli, spinto a rannicchiarsi dentro la propria metà campo, induce Spalletti a rinunciare alla furia di Oshimen senza variare l'assetto, e il ritmo sommesso di riconquista e gestione palla patisce l'innesto del cambio di marcia apportato da Raspadori e Simeone, con pronunciata riduzione del loro distanziamento di ruolo in avanti, mantenendo le mezz'ali a rodare gli ultimi terzi del campo per fare densità e servire assist in un'area più affollata.

Mediante la camaleontica presa di possesso dei sedici metri della Roma, i campioni azzurri innescano la bomba per il vantaggio. Sull'azione del 2-1, Belotti ripiega lento su Di Lorenzo che alimenta l'azione al centro su Zielinsky fronte alla porta, già elusivo della marcatura di Cristante, divelte la semigabbia che attornia Simeone ed attira l'aggressione di Ibañez nel momento in cui l'attaccante azzurro occupa la posizione centrale spalle alla porta. Senza riferimento laterale, Smalling non accorcia d'istinto sul Cholito, cognitivo di non avere copertura a supporto e si fa incenerire il tempo di aggressione.

In quella serpentesca piroetta con il cambio di piede, Simeone scarica con il sinistro tutta la tensione accumulata e disegna l'aurora azzurra sotto la traversa facendo letteralmente cadere lo stadio ai suoi piedi in un'apoteosi semplice. Il figlio d'arte, ogni volta è come se stesse imparando ad esultare e gioire dopo un gol, ma per le esultanze per fortuna non c'è scuola.

Una rete arrivata sulla penultima delle 9 azioni manovrate palla a terra che giustifica l'83% di passaggi completati dal Napoli dei 574 complessivi ed uno sfoggio di bellezza che va ben oltre il pareggio nella contesa dei duelli aerei (54% per entrambe le squadre) dove la Roma ha avuto ottimo gioco.

Vittoria cruciale figlia dello zelo e della lucidità degli azzurri che picchettano e cesellano il metallo difensivo della Roma fino a frantumarlo.

Adesso la distanza dalle inseguitrici è quasi pari a quella del traguardo. Quel sogno nel cuore che ad Aprile compirà 33 anni e che più si vede giocare il Napoli e più si nitidifica negl'occhi di chi guarda.