Da quando lo stadio di Napoli e del Napoli prende il nome del D10S Maradona, il retropensiero degli appassionati è che giocar male a calcio dentro quel rettangolo verde sia un aspetto sacrilego.

Per questo motivo, nell’incanto di splendore della squadra di Spalletti c’è il ruggito d’orgoglio della tifoseria che da decenni sopravvive alla commedia degli equivoci su giocar bene o vincere le partite. Un pubblico da sempre depositario della bellezza che vi è nella coralità del gioco e con le 5 spade a trafiggere la roccia Juventina, ha sugellato tutta l’attesa che giustifica il piacere.

Napoli-Juventus, viveva ancorata nell’anticamera d’una narrazione tronfia dell’impenetrabile reparto difensivo sabaudo, abbecerata dai sermoni della stampa faziosa che un lineare meccanismo monolitico fosse l’antidoto al prolifico gioco pendolare dei partenopei, in cui tutti sono coinvolti.

La verità è che lo scacco matto del Napoli sull’intera partita è arrivato anzitempo e senza particolari sofisticazioni tattiche, perché le pedine le ha mosse la screanzata cavillosità dei parametri adottati da Allegri, lacunoso nell’impostare due ali pure come tornanti difensivi (Chiesa e Kostic) e peccaminoso ad insistere su difesa a baricentro basso e contropiede con massimo 4 giocatori. Semplicemente noioso.

Un Napoli unanimemente sfrontato ma accorto, che ha vinto tutte le contese nei corrispettivi reparti grazie alla sagacia delle ormai certificate mosse dell’allenatore di Certaldo, in particolare, la costruzione a tre, il pressing a uomo, i triangoli nella mediana e le scalate laterali per aprire spazio agli esterni a campo invertito.

I difensori centrali del Napoli, spesso padroni della metà campo avversaria imponendo l’arretramento degli offendenti della Juventus, hanno variato la struttura del sistema a quattro, andando di sovente a costruire con Rahmani centrale, Kim che si allarga sulla sinistra e Mario Rui, libero di avanzare sulla propria corsia laterale; in questo modo si è riusciti a creare superiorità numerica proprio in zone esterne del perimetro di gioco. Vero e proprio turning point della partita.

Un'altra soluzione per costruire a tre è stata anche quella di abbassare direttamente Lobotka tra i due difensori centrali e gli esterni bassi liberi di avanzare, in particolare Di Lorenzo venuto anche dentro al campo a più riprese. Questo variare l’intelaiatura di costruzione ha portato vantaggi al Napoli innanzitutto perché la Juventus andava a difendere sempre nella solita maniera con Rabiot su Di Lorenzo e Di Maria o Milik a gestire il pressing al centro, decisamente passivo e molto basso, sotto la metà campo.

Con una ricerca dell'ampiezza da difensore laterale a difensore laterale Kim poteva avere molto spazio rispetto a Chiesa sulla fascia destra, la quale si trovava in inferiorità, attanagliata dall’incombenza di gestire sia Kvaratskhelia che Mario Rui; questo perché il quinto di centrocampo della Juventus rimaneva impegnato a piede opposto con il Georgiano, imponendogli di rimanere basso. Da cui la possibilità per il terzino azzurro di condurre ed effettuare la giocata verticale. Questa opzione di gioco ha consentito proprio a Kvara di attaccare contro tempo la linea di centrocampo e trovare il posto a centro area per la cilena magnifica da cui scaturisce il primo goal di Osimhen.

Oltre a questa tendenza tattica, ovviamente una caratteristica del Napoli è quella di mantenere il possesso del pallone con passaggi corti rapidi nello stretto e continuare a muoversi sulle catene laterali, portando molti uomini sul versante palla. In questa situazione d’attrazione offensiva, i tre centrocampisti sono stati agevolati dalla corsia di destra proprietà di Di Lorenzo e Politano; con uno scambio avanti-dietro si va a giocare palla dalla parte opposta, dove Kvara può controllare e andare a sfruttare l'uno contro uno; stessa cosa che succede anche a lati invertiti quindi andando ad isolare Politano dalla parte opposta si mira a creare densità per poi ricercare l'ampiezza. Da qui nasce il 2-0 con Politano che lancia sulla punta che ha buon gioco e può servire Kvara sull’inserimento per battere a rete. Rasoiata pregevole dell’esterno sinistro di interno piede sul palo lungo. Da un concetto assimilabile a questo credo tattico nasce anche il gol del 5-1 di Elmas, a risultato ormai compromesso.

La lectio magistralis del pressing a rimorchio dei terzini sulle dinamiche di gioco porta al gol del 4-1 di Osimhen, imperioso a sfruttare una delicata stilettata di Kvaratskhelia. Mario Rui in questo caso, ostruisce la visuale a Bremer intento a spazzare via, che sbaglia il rinvio, lo colpisce e restituisce il pallone al Napoli.

Altro vantaggio competitivo è stata l‘elusione della marcatura di Locatelli e McKennie da parte di Lobotka, eccelso in conduzione palla e smistamento, capace di rendere acritici i potenziali pericoli, perciò il Napoli ha avuto vita facile nel amministrare il pallone anche sotto pressione nella prima costruzione, coinvolgendo Meret e le poche situazioni in cui i bianconeri sono riusciti a mettere una discreta pressione sul portatore di palla e alla difesa, è stato mediante lancio lungo e quasi mai su azione manovrata.

Infine, nella grandeur tecnica generale di tutte le componenti della squadra, dove alcuni calciatori meritano voti in pagella dall’8 in su, la particolare nota di merito per la fase difensiva va a Kim che è leader delle statistiche individuali di fine partita con 5 contrasti, 3 tiri respinti e 3 passaggi intercettati. Vero e proprio baluardo e riferimento del reparto arretrato per doti agonistiche e caratteriali.

Il Napoli attuale sembra uscito dalla commedia Plautina i Menecmi, gemello ritrovato di quello che poco più di 4 anni fa aveva strabiliato l’Europa, paragonato ai più celebri squadroni allenati nel vecchio millennio da Liedholm, Sacchi e Cruyff che possedevano alcuni tra i migliori giocatori dell’epoca, ed oggi risulta ancora più bello, ancora più giovane, ancora più convinto, ancora più in cima. Esprime un gioco spesso scintillante, spiritoso ma non irridente, con cui ha strapazzato una delle compagini più iconiche della Serie A, tra la ola dello stadio, consensi di luci abbaglianti, canti di gioia e aspirazioni di gloria.