Encefalogramma piatto del Napoli al Maradona contro la Lazio degli architetti della fase difensiva che lo rabbuiano e scaraventano in balia di se stesso, vincendo la partita col gesso bianco sulla lavagna nera prima che col pallone sul campo verde.

Sevizia tattica del Bagnolese Sarri al 'bordocampista' Spalletti, mai quest'anno imbrigliato dagli avversari nel dispiegamento del gioco, una rarità per un 11 avvezzo a dominare per non essere dominato, schiacciato stavolta dal peso della pressione che la squadra ha saputo mettersi ininterrottamente dall'ultima sconfitta di due mesi fa, il 5 Gennaio contro l'Inter. Una full immersion che ha mandato in apnea il Napoli, devitalizzando la capacità non innata di andare oltre i propri limiti nella partita più indecifrabile dell'inverno partenopeo.

Una sconfitta a tratti enigmatica, quasi utile perché indolore, che smorza il disequilibrio chimerico per la Serie A e normalizza la capolista, che resta sicuramente la più forte del campionato ma con qualche peccaminosità che ha impiegato quasi nove mesi per ventilarsi.

La squadra, specie nel primo tempo, ha ondeggiato destra-sinistra disarticolata, vittima del mancato sfogo su Osimhen a palla scoperta, in una mescita di posizioni che, con le linee di passaggio otturate, ha intentato una circonduzione sterile dell'affascinante edificazione rocciosa dell'area di rigore laziale.

Gli aquilotti, corti e serrati, si sono disposti con due W poliedriche di 5 giocatori quasi ad incastro, presidio asfittico della zona palla e intrusione in tutte le trasmissioni della sfera dalla metà campo in avanti, quasi a voler attirare il Napoli nella propria trappola difensiva.

La Lazio ha atteso per 60 minuti il gong del tiro da fuori con l'uomo meno indiziato a stoccare, ottenuto mediante un balance volutamente succinto che ha precluso a Lobotka di pressare altissimo e a Kvara e Lozano di ricevere palla e di poter aggredire in avanti o giostrare a ridosso dell'area. Il talento georgiano ha dovuto sofisticare esponenzialmente il proprio repertorio tecnico in orizzontale, senza riuscire a velocizzare la giocata e trovare uomini in azzurro smarcati o liberi di battere a rete. Idem per il Chucky, imbeccato una sola volta in velocità approfittando di uno sviluppo tutto monocorde dalla difesa da destra.

Lozano riceve sulla corsa da Di Lorenzo e attacca lo spazio

Pur tenendo a bada Felipe Anderson e Zaccagni, la leva del fulcro del gioco dei primi 45 è stata la penetrazione olistica ma discontinua dei terzini Oliveira e Di Lorenzo fino ai 20 metri in conduzione di palla, scalando per due volte centralmente gl'ingranaggi della copertura anticipata delle mezz'ali, anch'esse schermate a zona, per innescare a turno o l'esterno d'attacco o il tiro degli stessi Zielinski ed Anguissa che calceranno verso la porta una volta ciascuno senza particolare volizione.

Zielinski costeggia Oliviera da cui riceve palla dal limite e calcia fuori

La Lazio si è disposta graniticamente, irta a guardia di Provedel, senza mai scoprire palla per uscire dall'agglomerato, conturbata su un meccanismo di accorciamenti reattivi sugli scarichi e contrasti efficaci; sorretti emblematicamente dall'energia di Vecino, uomo perpetuo che ha sfiorato la doppietta ed ha fatto da bussola per il mirino del pressing, incentivando il gioco corto di Milinkovic e Luis Alberto, sacrificati volentieri a difendere la zona più che attaccare lo spazio, quasi sempre lontanissimi da Meret, in perfetta rispondenza a dettami di oscurantismo posizionale dei corrispettivi del ruolo, salendo la frequenza di gamba con la riconquista bassa.

Vecino incede il passo per portare su la squadra in contropiede

La difficoltà predominante sulle linee di disimpegno da parte del Napoli nel primo tempo, avendo il regista Lobotka cernierato dal bastione avversario, non è stata chiudere azioni in diagonale ma ostinarsi sull'inerzia orizzontale del gioco che non ha mai scomposto la Lazio, con 4 difensori sempre a massimo 30 metri dalla propria porta, senza abboccare in ampiezza all'elusione di marcatura.

Oliveira viene dentro il campo per favorire il tiro dei centrocampisti

Zielinski - che poteva rappresentare la pietra miliare della gara con i suoi fluttuamenti - all'inizio è sembrato ignaro di quanto stesse succedendo per crearsi una scappatoia alla prigione pentagonale in cui si è visto segregato. Accorgimento posizionale, come egli stesso ha riportato, attuato nella ripresa che lo ha sguinzagliato a ridosso della trequarti senza dover allungare il cono visivo di 40-45 metri e perdere verve offensiva.

Zielinski su sponda di Osimhen può tirare in porta dalla lunetta

La catarsi Osimehniana non si è paventata così poderosa come nelle ultime uscite, ciononostante il centravanti di Lagos ha lavorato centralmente con sponde di qualità, depauperando energie per gl'inserimenti dei compagni, non disdegnando mai la lotta negli uno contro uno, in particolare furibonda quella con Patric.

Osimhen riceve da Oliveira da fuori area dopo penetrazione della difesa dell'uruguagio

Particolarmente straniante subire goal a ranghi serrati e difesa allineata, in un frangente di disincantata leggerezza nel pressing e nel contrasto, su scaltra uscita di palla centrale di Luis Alberto e trasversalità dell'azione culminata con respinta di testa di Kvara, in posizione di tornante e botta al fulmicotone di Vecino, tanto cauto ad evitare il contropiede in battuta secca quanto sontuoso nella coordinazione.

Napoli subisce goal a difesa schierata

Il commando capitolino, sconfessando un brevettato credo tolemaico di calcio del proprio allenatore, ha costruito un durissimo blocco di difesa come fossero 11 Nuraghi romanici fortificati per inscalfirsi sulle disordinate folate a sprazzi del Napoli, specie nella ripresa, riuscendo a snaturare le caratteristiche degl'azzurri e innervosire gl'interpreti migliori.

Anche le statistiche algebriche coincidono con l'andamento del match: Napoli che con il 64% di possesso palla, per 31 minuti di detenimento attivo, ha tirato in porta una sola volta colpendo la traversa con Osimhen, seppur trovando posizione favorevole di calcio in altre due cicorstanze da azione manovrata con Kvara, Zielinski e poi isolatamente con Elmas in discesa libera sul finire, tutti poco lucidi a distinguersi per precisione e violenza.

Lo sforzo apicale prodotto dal Napoli da inizio stagione, che ha consentito di riscuotere consensi a tutte le latitudini e fare vuoto dietro di sé in classifica, è frutto di vicissitudini sempre favorevoli sorrette dal desiderio smodato di vincere. La condizione fisica, la difesa nucleare e l'assetto tattico impeccabile hanno fatto il resto, ma contro squadre come la Lazio, abituata a fare risultato come dimostra il primato nella classifica dei clean sheet, serviva e servirà un diversivo anatematico ai canonici sincronismi gioco, che non prescinda solo dagli armonici sviluppi centrali con Lobotka in impostazione o sulle catene laterali specie con Kvara o Lozano e Politano in ritmo, ma attaccare di più il fondo del campo con sovrapposizioni di terzini e con il solito numero di uomini (almeno 5) a giocare i palloni nell'area avversaria, magari affinando ancor più le conclusioni.

Testa alta e volume alto sugli spalti. Malgrado la battuta di arresto il Napoli è sempre impeto ed orgoglio e ai punti non meritava la punizione di arridere la classifica altrui.