Non è bastato uno Scudetto conquistato con cinque giornate d’anticipo e nemmeno la netta affermazione della truppa Spalletti ai danni della finalista di Champions per distrarre i franchi tiratori che, in massa e da ogni lato, non perdono occasione per attaccare il Napoli e il suo operato.

Un'intera stagione a masticare amaro, con complimenti di circostanza dispensati a fatica, impotenti di fronte allo strapotere partenopeo, capace addirittura di annichilire l’oscuro presagio di un campionato che si sarebbe riaperto a gennaio.

Ed ora che la città si gode il meritato trionfo, mentre c’è ancora chi prova con le unghie e con i denti ad afferrare il treno della massima competizione continentale, provano ad insinuarsi tra le pieghe della querelle allenatore, inoculando nei tifosi il morbo del sospetto, provando a rinvigorire vecchie paure. Quelle che parlano di una società non all’altezza, incapace di vincere dicevano, e che sarebbe sul punto di cancellare con un colpo di spugna possibilità future di successo.

Lo diciamo senza timore di essere etichettati come piangina - così dicono dalle loro parti – proprio loro che sono maestri in questo e che agiscono all’ombra dell’immagine stereotipata che provano a dare di Napoli e dei napoletani.

Certo è che se crediamo questo sia comprensibile, non accettabile, da parte di un’editoria legata a filo doppio con chi ha forti interessi verso i club strisciati di Milano e Torino, troviamo sia triste che un certo linguaggio, fuorviante e lontano dal vero, arrivi da rappresentanti della Rai o nelle sue trasmissioni.

Ascoltare sulle frequenze di Rai Sport che “soltanto a Napoli può succedere una cosa simile”, riferendosi al probabile addio di Mister Spalletti al termine di questa stagione, appartiene ad una maniera di fare giornalismo pregno di quella discriminazione che un qualsiasi paese civile dovrebbe combattere. E non solo per l’accezione discriminante con la quale è stata proferita, ma soprattutto perché non corrisponde al vero. Quella verità che dovrebbe essere alla base di chi vuol fare giornalismo. E invece, Mamma Rai è sempre incinta.

Senza voler andare troppo a ritroso ci sono i casi di Conte e Sarri, i quali hanno lasciato le panchine rispettivamente di Inter e Juventus, dopo aver vinto uno scudetto. Lo stesso Mourinho si congedò dai nerazzurri all’indomani della conquista del Triplete, ma più che gli esempi c’è una corrente di pensiero che spinge per lasciare il timone da vincenti e rivendersi poi al miglior offerente. Ecco non crediamo sia questo il caso di Spalletti che forse, dopo due anni duri lontano dagli affetti, si sente appagato dal primo successo in Seria A e desideroso di rivivere il calore della propria famiglia.

Già proprio Spalletti che, nelle sue ultime tre avventure, Napoli compresa, non è andato oltre i due anni di permanenza e che ha ribadito il desiderio di non onorare l’opzione di rinnovo esercitata dal Presidente De Laurentiis. Una decisione non impulsiva, che “viene da lontano” e che non ha certamente colto impreparato il club, ma che è stata dipinta come incapacità, anzi peggio, come volontà di interrompere i rapporti per un capriccio, quella smania di protagonismo per cui il buon Aurelio viene additato.

La stagione non è ancora conclusa, ma evidentemente qualcuno è già all’opera per la prossima, provando sin da subito a sovvertire quello che il campo ha decretato. Andando a minare le certezze di un pubblico troppo labile, facilmente condizionabile e a cui basta poco per ricalcare vecchi schemi.

Gradiremmo quindi un comportamento più coscienzioso da chi svolge un ruolo nell’informazione pubblica, senza cadere nella banalizzazione dei contenuti ed evitando facili accuse nei confronti di una società che, negli anni, ha dimostrato una competenza sconosciuta alle sue competitors.