Il Napoli di Calzona al tramonto del campionato contro la Roma di Daniele De Rossi al Maradona strilla nel buio e con una massiccia dose di mala sorte alla fine pareggia e sprofonda nell’anonimato di classifica, che adesso è un enigma ad incastri per la qualificazione alle coppe, in cui forse, a questo punto, sarebbe meglio rinunciare per garantire la rifondazione della squadra in purezza.

  1. LE CELLULE ATTIVE DEL BEL GIOCO

Ormai ce lo si tramanda da Napoli a Napoli il dogma di giocare bene, quello di adire voluttuosamente a tutte le capacità per uscire dal campo di gioco con la consapevolezza di aver offerto uno spettacolo all'altezza del passato recente. Per quanto la stagione del Napoli 23/24 non sfavilli di bagliori e stia lasciando traccia solo di macerie, nella partita del premonito orgoglio, da rinfocolare nei carboni ardenti dello stadio Maradona in aperta contestazione dei tifosi, il Napoli palesemente mette sotto una Roma che sembra avere le doglie pre-parto per il rush finale.  

Un Napoli squadra abbastanza bella da vedere, soave a spezzoni, che in campo si alleggerisce in azioni gioiosamente armoniche, condite da una maldestra quantità di convinzione che fa sì che spesso le occasioni chiave non si concretizzino in gol.

Soltanto la giornata di grazia di un miracolante Svilar impedisce agli azzurri di mettere a segno 11 delle 13 occasioni nitide create e sventa tante minacce a porta quasi violata, che determinano il risultato.

In alcuni frangenti di gioco l’undici in campo si ritrova nel cumulo di passaggi fatti con raziocinio, nella destrezza con cui si prova ad offendere la porta, nella calma progressiva con cui manovra, nella compattezza difensiva e nell'affidamento reciproco. Certamente nulla da far luccicare gli occhi, ma sicuramente lo strascico di una squadra che nella propria entropia è forte e non si è più dimostrata tale se non estemporaneamente come nelle giornate attraversate dal vento della sfortuna come queste di fine aprile, che gioca agli azzurri il più velenoso scherzo per sotterrare le residue velleità dal profumo d'Europa.

  1. L’ALLENATORE SENZA PANCHINA NE' SCUSE

Aleggia sulla testa di Calzona (che sa perfettamente dove sarà in futuro a cominciare dai prossimi mesi di giugno e luglio, cioè in Germania con la nazionale Slovacca per l'europeo) uno spirito funesto, evocato dalla piazza, che vorrebbe crocifiggerlo per l'andamento scrauso della squadra del suo avvento, attutito dalla moderazione con cui giustifica l'impossibilità di far qualcosa di diverso in attinenza alla mancanza di responsabilità oggettive e ad una prosecuzione di un lavoro ormai già avviato e da non buttare a mare, nel retaggio di quanto già vissuto nelle precedenti esperienze all'ombra del Vesuvio.

Che sia Pioli oppure Conte il prossimo allenatore o tutti gli altri precedentemente passati al setaccio nell'album delle figurine da attaccare sull'almanacco del Napoli del prossimo anno da parte De Laurentiis, è evidente a tutti che Calzona dimostra onestà intellettuale nel riconoscere pregi e difetti della squadra, nell’elogiarla saporitamente quando sul campo ha fatto cose egregie e da bacchettarla in maniera preoccupata e quasi imbarazzata in tutte le occasioni in cui questa si produce in capitomboli disastrosi.

Ma se ben si pensa ai punti lasciati per strada da febbraio ad oggi sotto la guida del Calabrese, pesano troppo errori individuali che non sempre possono essere imputati all'allenatore né di concetto, né di scelta ed è per questo che anche se il lavoro di Calzona non avrà prodotto buoni risultati o garantito i frutti sperati contribuendo all’ulteriore depauperamento del patrimonio tecnico, per un traghettatore partente già annunciato, che si espone in prima linea senza lesinare critiche o discolpe, va detto che allenare senza una panchina non è da tutti.

  1. IL MODULO INSCOMPONIBILE E RAGIONATORE

Se debba esserci un punto di rottura con il passato, in previsione di un futuro prossimo che comincerà a luglio, ma le cui fondamenta andrebbero costruite già adesso, tra tutti gli elementi da passare al setaccio e porre in analisi c'è sicuramente quello del modulo il 4-3-3 che per anni è stato il sistema da overthinking del Napoli, capace spesso di ritrovare il punto epidurale delle nevralgie avversarie, di coprire il campo in ampiezza e lunghezza creando giustapposizioni nei ruoli, esaltazione dei giocatori ed il riconoscimento degli spazi.

Ad oggi però tanti calciatori non sono più gli stessi degli esordi, l’intercambiabilità del modulo non risulta più così duttile e fattibile come nei momenti migliori e la squadra continua a specchiarsi in vetri rotti.

Tra accesi propositi e nuove sfide che il Napoli deve intraprendere rinunciando ad immalinconirsi nelle sabbie mobili del passato, insistendo nel tratteggio di una squadra che non c'è più, c’è il cambio della modularità di partenza, che a volte sembra quasi non essere combinatoria né con le caratteristiche dei giocatori né con le debolezze degli altri, pertanto risulta leggibile. 

In un calcio in transizione ostinata verso soluzioni nuove, che richiede nuova adattabilità e non la stereotipizzazione di moduli che mal celano i difetti di associazione tra gli elementi, soprattutto se non specialisti del ruolo, cambiare sistema di gioco può essere la vera chiave di volta per riformare una squadra che dopo la tabula rasa si predisponga per reimparare, riapplicarsi ed orientarsi al movimento in campo non in maniera dogmatica.

  1. ANGUISSA HA LA VISTA ANNEBBIATA SOTTO PORTA

I gol si sbagliano e questo è uno dei motivi per il quale le partite non finiscono tutte con risultati tennistici; ma l'attitudine verso il gol è una cosa che si acquisisce nel corso del tempo, tentando e riprovando e soprattutto andando spesso a bersaglio, cosa che ad Anguissa nel corso della sua carriera è riuscito pochissime volte. L'unica sua doppietta inanellata nella stessa partita contro il Torino, un anno e mezzo fa, è arrivata proprio con la maglia azzurra e possiamo dire che è stato ben più che un caso.

Il gol sbagliato dal centrocampista camerunense involato verso la porta, sarebbe da capo d’imputazione ed espiatorio per tutta la squadra, anche per il risultato, se non fosse che anche altri suoi compagni hanno divorato occasioni abbastanza importanti. Ma il modo in cui ogni scatta verso la porta e tira senza senso denota la totale inconsistenza della giocata, pessima attitudine ed anche una carente voglia di segnare che fotografa la sua stagione, in cui si è mutato da centrocampista tuttofare a calciatore scompensato, succube delle proprie remore attitudinali a non fare mai qualcosa in più, a non eccedere, a non sconfinare nell’eccellenza.

Per questo il gol sbagliato al minuto 36 dopo essersi bene inserito su una sponda di testa dell'amico Osimhen, non è solo il suo atto di resa, con un tiro che più sbilenco e decentrato non si può quasi stesse calciando un pallone da rugby, ma anche la disconnessione mentale sui meri intenti di vittoria, che anche per sua responsabilità, sono stati mancati dalla squadra ed un bigliettino da visita da ristampare con qualche immagine di un gol segnato prima d’essere spedito verso altre destinazioni, che oggi per lui sembrano ineluttabili.

  1. RAMMARICATI DA BARACCONE

Entrare ed uscire dalla storia. Il Napoli ci è riuscito con le proprie mani e sembra una sceneggiatura dell’inverosimile se ci si focalizza accoratamente su quanto poteva essere candidamente evitato.

Giocatori delusi, afflitti, sconcertati, sopraffatti dalla frustrazione e dall’incapacità di fare qualcosa di più o di diverso. Oggi il sequel delle partite è sempre uguale e predomina il distacco emotivo; oltre al successo soddisfacente contro la Juventus, il nuovo anno ha regalato nessun’altra gioia e il rumore della propria gente surclassa quello della squadra in campo. 

Scollamento tangibile, critiche spietate, insulti, sberleffi e disistima latente sono le prerogative dei tifosi di tutte le età e i settori, irriducibili nella passione ma non nella fiducia verso la squadra e la società.

Se sia giusto che l’anno dello scudetto dovesse proseguire con una delle peggiori della storia del club, in proporzione al fatturato e allo status di grande squadra, questo lo dirà solo il tempo idoneo e funzionale alla ricostruzione dell’organico in cui molti calciatori e dirigenti ormai non sono protagonisti da mesi.

  1. FATTI E COLPE TRITE E RITRITE

Anche contro l’organizzata Roma del giovane talento De Rossi, il Napoli è sprofondato nelle propaggini da esso stesso create ed è come se la squadra non abbia mai imparato dai propri errori o quantomeno non ci sia mai riuscita, producendosi sempre in sbagli di distrazione, strafalcioni, cattiva interpretazione dei pericoli, atteggiamenti di apatia e perdita d’attenzione sui fondamentali del gioco.

Nel secondo tempo si assiste ad una serie di circostanze in cui la pavidità dei protagonisti fa quasi impressione: Juan Jesus commette con estrema ingenuità il fallo da rigore, Politano sbaglia due scelte di gioco facilissime per poi riproporsi con un assist al bacio per Lobotka, che guarda caso era proprio l'uomo che non avrebbe dovuto trovarsi in posizione di tiro, sul finire subentra Traorè, minato nel minutaggio dal prestito condizionato dal Bournemouth, che non disputa neanche un quarto d'ora di gioco perchè sostituito in una circostanza avulsa del gioco da Ostigard, su calcio piazzato a sfavore, per rimpolpare l'ossatura dei marcatori in area. Infine la topica del fuorigioco millimetrico del capitano Di Lorenzo che scappa con ritardo e costa al Napoli tre punti, a cui si aggiungono tantissimi errori sotto porta in particolare di Osimhen, totem della squadra che quest'anno non si è prestato a sfornare goal a raffica pur avendone fatte appena 10 in meno rispetto allo scorso anno in cui chiuse capocannoniere ed è il corollario a tutta un'altra serie grossolana di piccoli pasticci o valutazioni sbagliate in corso d'opera che al Napoli hanno fregato il tempo, ormai scaduto.

  1. OLIVERA E’ UN TURBINE DI COSE CHE A VOLTE RIESCONO BENE

Matthias Oliveira è un prototipo di terzino contemporaneo, fisico e con sufficiente tecnica, che si propone nella fase difensiva ed offensiva con egual costrutto, provando a difendere sia di collettivo che individualmente e ad offendere con propulsione secondo i propri crismi, talvolta confusionari.

Forse un Olivera al massimo della condizione avrebbe potuto consentire al Napoli anche di avere un dispendio energetico superiore in campo anche in altre circostanze, datasi la prestanza fisica ed anche una buona dose di qualità tutta mancina, seppur non apicale, che l'uruguagio sa garantire sulla propria fascia di riferimento.

Per quanto sia ancora abissale la distanza con i massimi interpreti del ruolo che gravitano nel palcoscenico del calcio italiano che sono Theo Hernandez e Federico Di Marco, Mathi Olivera è sulla buona strada per diventare un terzino di alto livello ma deve sicuramente migliorare nel tiro e nella costruzione del basso, oltre al fatto che in rifinitura ancora non è determinante, ma il gollonzo che arriva sulla traiettoria oblunga stilettata dal suo sinistro nell’intemerata offensiva, e la posizione di frangiflutti a ridosso del centrocampo sempre ben occupata da giocatore moderno, restituiscono al Napoli un esterno di sinistra che per quanto nei due anni non abbia avuto una continuità supersonica né un rendimento sensazionale, ma ha comunque spesso eseguito bene i suoi compiti.

  1. ADL ESECRATO DALLE PATURNIE DELLA RIFONDAZIONE

Immagine di deferenza quanto terrificante quella di ADL, dinanzi al suo futuro nel momento in cui Osimhen pone la palla sul dischetto degli 11 metri per battere a rete il gol del 2-1, che si potrebbe rivelare quello del più grande rimpianto della stagione, nel momento in cui la rincorsa all'Europa minore era ancora attiva.

ADL china il capo, si prona con le meningi dentro il palmo della sua mano destra e lì soggiace per alcuni infiniti secondi, insieme a tutte le sue paure feconde, che si incuneano nella mente  veloci ed irregolari, spezzano l'infingimento dell'auto persecutorietà, e diventano la figura iconica d’un autoaccusa mai così sospinta verso l'inverosimile, in cui il presidente a Febbraio ci ha messo la faccia, senza considerare che non tutti i danni sono irrimediabili e neanche quelle brutte figure venute in seguito.

Sprofondato nel catino della coscienza sporca, in cui le catene dell'autocrazia si sono attorcigliate attorno alla programmazione futura, Aurelio De Laurentiis appare ora come un uomo solo al comando, diseredato dai collaboratori più fidati, sfiduciato da chi in lui ripone sempre grandi speranze e affetto e per certi versi detestato da alcuni giocatori che in epoca di umanesimo si sarebbero potuti vedere per lui come dei figli ed invece il patron questo rapporto non ha mai voluto crearlo e magari ha fatto bene, perchè fare bomba libera tutti a fine stagione sarà più facile.

  1. ERRORE MARCHIANO SUL CORNER FATALE

Purtroppo è cosa nota che la soglia di concentrazione dev’ essere sempre massimale per produrre uno sforzo finalizzato all'ottenimento del risultato auspicato, per cui anche liberare per bene un pallone di testa per chi è abituato a farlo può sembrare un compito più duro del previsto.

Invece il cambio di Calzona che sottrae in medias res Traorè, appena entrato, da una partita in cui presumibilmente non era neanche nel piano gara, ad appannaggio di Ostigaard che vanta la nomea di sapersi far valere nel gioco aereo, sbertuccia il Napoli dell'ultima chance di riprendersi se stesso nel campionato, tramortito dai millimetri di regolarità della posizione di Abraham, anch'egli appena entrato guarda caso.

Un cambio che con la scure del risultato aggrava l’episodio come cruciale e nella miriade di considerazioni post gara tutte legittime, senz'altro salvaguardare per qualche secondo in più l'ordine in campo sarebbe stata la cosa giusta ed invece in pochi secondi si è passati dalla smorfia di Traorè, allibito per quanto gli stava accadendo, alla smorfia di tutta la squadra nel capire per l'ennesima volta che nel calcio i dettagli fanno la differenza.

  1. LA FOLATA D’ENTUSIASMO DEL CINEMA

E’ stato esaltante vedere il Napoli ritrovarsi in alcuni momenti dell'annata, è successo contro Udinese in casa, Atalanta a Bergamo, Fiorentina in super coppa, Juventus in casa, Sassuolo e Monza fuori casa, per certi versi col Frosinone e la Roma. La squadra è stata palesemente superiore all’avversario nel computo totale della partita, seppur non conquistando sempre l’intera posta in palio. Ma sono state pochissime le reazioni, spesso vane. Per quanto faccia soffrire a dismisura veder il Napoli cadere a picco, quello che è successo è successo spesso alla luce del sole e lo sanno tutti che forse è giusto così.

Tra pochi giorni i pensieri e i cuori del popolo partenopeo di tutto il mondo si ritroveranno all'unisono nella visione della produzione di famiglia del film "Sarò con te", che racconta la cavalcata storica e trionfale dello scudetto conquistato dal calcio Napoli dopo 33 anni dall'ultima volta. Un vero e proprio sogno nel cuore della moltitudine dei tifosi che mai hanno desiderato altro che vivere quel momento, quel periodo, quell'annata, quei giorni, dall'epopea Maradoniana al miracolo Spallettiano, che ha scandito le ultime tre decadi della storia del Napoli e della sua gente, sempre al fianco della squadra per l'ideale dell'appartenenza incondizionata, l'amore per la maglia e quel 4 Maggio 2023 che è stato davvero qualcosa di troppo.

Riviverlo in una sceneggiatura esclusiva sarà il momento più bello della stagione, e questo è l'unico titolo di coda al film.