1. STAGIONE GROTTESCA

È un Napoli in piena rappresaglia d’idee quello che lascia il trillìo delle campane di riscossa, suonare con un suono fastidioso e sordo che rimbomba nella coscienza in maniera esasperante e sa di alacre fallimento.

Una storia, quella del Napoli di Mazzarri, da aggrottare la fronte, corrucciandosi per la mancanza totale di logica e coerenza agli enunciati ed ai buoni propositi della preview.

È proprio il Napoli più sostenuto di sempre dalla sua gente, in maniera incondizionata e senza sperticarsi in frustrazioni da risultato, che sistematicamente lesina la qualità del gioco, si avvizzisce in fazzoletti di terreno, corre poco, sviluppa male e ingenera nervosismo nei giocatori migliori e dà un colpo di coda alla parte di sinistra della classifica di Serie A.

Sancito in maniera chiara ed inequivocabile il depauperamento del patrimonio tecnico nelle mani del club che ora somiglia sempre di più a sabbia stretta nei pugni, tra cartellini dimezzati, giocatori già annunciati come partenti, ingerenze di gestione interna e scadenze contrattuali.

Vi è stato prima il disarmo di ambizioni dinanzi all'ottusità di Garcia, poi il passaggio di consegne con la novella del riassestamento Mazzarriano 2.0, le serate flaccide, le figuracce e le goleade subite, fino ad arrivare alla leziosità di una presunta solidità difensiva e al disagio che a più riprese la squadra manifesta nel giocare bene a calcio. Cosa che, in questa stagione, risulta laconicamente sconosciuta a tutti.

  1. AAA CERCASI TIRI IN PORTA 

Ormai l'area di rigore avversaria per il Napoli è diventata una nicchia di gioco, la si valuta, si cerca di catturarla, di sedurla, ma rimane lì, infungibile, come un perimetro losco verso il quale provare a fare la corsa senza mai avervi accesso; non bastasse la difficoltà a caldeggiare nell'intorno dei 16 metri, a ciò si aggiunge l'insussistenza del Napoli nell’effettuare qualsiasi tipo di tentativo dalla lunga-media distanza che possa considerarsi pericoloso.

Il deficit dinamico, già da tempo evincibile nel gruppo azzurro, oggi diventa la macumba sul gioco della squadra che nelle ultime otto partite ha tirato nello specchio della porta 27 volte ma incredibilmente soltanto cinque di queste sono stati tiri respinti dal portiere (3 di Kvara) ed è un dato negativamente straordinario se si pensa al volume di gioco che la squadra esprime in termini di predominio del terreno nella metà campo offensiva ed il baricentro medio, manca quindi il sincronismo a suffragio dello schema di gioco, per smarcare uomini in posizioni libere.

Una condizione di negligenza generalizzata e quanto mai allarmante, specie quando si hanno delle difficoltà ad incidere coralmente e non utilizzare il più classico dei fondamentali di questo sport: calciare in porta. Il solo destro a giro alto di H.Traoré nel primo tempo, non giustifica la penuria numerica sulla statistica di fattispecie delle ultime uscite sui tiri da fuori area… e anche dentro l’area piccola.

  1. LA DEBOLEZZA DI NERVI 

È sempre comprensibile, nei momenti di minor entusiasmo, ravvisare défaillance più o meno avvilenti; quando le vittorie non arrivano ogni palla pesa come un macigno e ogni giocata potrebbe dover essere quella decisiva, anche quando non si richiede espressamente di cacciare il coniglio dal cilindro.

Vedere tanti giocatori nei frangenti finali delle partite, con meno energie e meno forze da dispiegare sul terreno di gioco ma completamente assenti a qualsiasi tipo di ebollizione nel poter esporsi sul campo, fungendo da visitatori ad un balcone in attesa che dal cielo piovano palloni anziché planare sul campo con rabbia agonistica, è molto deludente.

Se si considera che nei momenti in cui la soglia dell'attenzione dovrebbe essere maggiore, la gran parte dei calciatori denota black-out emotivi che riflettono scelte improvvide per la costruzione delle azioni, in uno spartito tattico poco decente e soprattutto poco convincente, prodomo di ricorsività posizionali poco fluide ed isolamenti repressivi dei giocatori.

Dalle tenebre spunta il risolutivo gol di Ngonge che salva il risultato e non fa bene il pari con quello del quadretto dei subentri - vedi Lindstrom e Raspadori - che non cambiano l’inerzia del match ma addensano solo la trequarti senza creare il pericolo, scarichi di colpi.

  1. L'INEDIA DEL NAPOLI DI MAZZARRI

È un commento ingeneroso, ma è brutto da vedere il Napoli di Mazzarri.

Idee poco identificabili ed approssimative, una fluidità del gioco pressappoco vicina al lento, vettorialità ricorsiva negl’esterni e quanto mai speculativa degli assetti tattici degli avversari, contromisure imberbi alla matrice primaria del gioco ed un centrocampo molle, a scoprire palla altissima dalla porta (addirittura sui rinvii dal fondo avversari), coperta in questo caso da Meret, con strafalcioni specie dei due centrali difensivi del reparto arretrato.

A ciò si aggiunge un costrutto a puzzle, impedito dalla frustrazione, dove avere la sfera diventa un esercizio di disimpegno nella migliore maniera possibile e non votato al gioco organico.

Purtroppo Mazzarri nella sua visione antidiluviana del calcio, ha condizionato un gruppo di giocatori che, avendo già raggiunto il proprio apice di carriera, avrebbero bisogno di essere stimolati da un punto di vista non solo comportamentale ma prettamente professionale e didattico. Quello che apparentemente sta facendo il tecnico invece, è esasperare sofismi del sistema di gioco che hanno imprigionato ancora di più in gabbie mentali le lune storte del gruppo azzurro, oggi inevitabilmente condotto ad una rifondazione.

Se il tecnico di San Vincenzo persevererà a scegliere un atteggiamento contestabile difensivamente e innocuo offensivamente anche contro il Barcellona, la sua posizione alla guida della squadra da instabile diventerebbe totalmente traballante.

  1. IL BUCO NERO DELLA STAGIONE CHE NON SI CHIUDE

Da luglio 2023 alle idi di Febbraio 2024 il percorso stagionale del Napoli si è rivelato essere, e probabilmente rimarrà tale, un vero e proprio calvario non solo di risultati ma anche di altalenanti quanto umorali avvicendamenti tra giocatori e allenatori, che male hanno approcciato alla filosofia del pubblico e plausibilmente anche del gruppo squadra, condizionato dal successo dello scorso anno.

Sono molte le divergenze tra un percorso trionfale come quello della stagione passata ed uno quasi catastrofico del Napoli attuale, che con una rosa di alto livello fatica a mettere insieme un presupposto di calcio attivo che si configuri come divertente; le partite messe in serie sono una pletora di atteggiamenti dal principio molto sbagliati della squadra nei confronti degli avversari, con ridimensionamento dell'attitudine a vincere, la protervia a tentarvi senza il giusto livello di convinzione ed il perseguimento d’obiettivi che non sono neanche più chiari.

Forse, sarebbe bastato ad un certo punto estromettere qualche giocatore fondamentale per la squadra, ma non in quel preciso momento della stagione, al fine di poter risollevare le sorti almeno di alcuni segmenti d’annata ed invece innumerevoli sono state le partite squallide che la squadra ha giocato senza il presupposto di poter fare goal ed è diventato un sentimento da ricercare nel senso del dovere più che nell’ambizione.

Da ciò vengono fuori tutti gli scontri diretti persi contro concorrenti sia di medio che di alto livello, figuracce a ripetizione in partite di cartello, addirittura enfaticamente superate nello sconforto, da quelle contro squadre di livello inferiore che galleggiano nei bassifondi della classifica, in grado di dare filo da torcere senza sperticarsi a far null'altro che difendersi.

Se per tre partite consecutivamente contro Salernitana, Verona e Genoa il canovaccio si ripete ed anziché essere migliorativo, suona quasi come peggiorativo e se all'inizio della stagione il campanellino d'allarme aveva segnalato l'unica, per quanto indecifrabile, vittoria contro il Sassuolo, anch'egli attanagliato dalle propaggini delle parti basse della graduatoria, è sintomo che fisiologicamente la squadra non è mai cresciuta né da un punto di vista atletico né mentale, sprofondando nei buchi neri che essa stessa ha generato, denudandosi in cose turbanti e sentendosi da principio più forte di quella che è realmente, ormai incapace di sognare.

  1. LA CONFUSIONE ACCRESCE LA DELUSIONE

E’ nel pulviscolo di esaltazioni ristrette, che il Napoli trova lo specchio della propria ineffabilità, vero e proprio leitmotiv della stagione.

Un gruppo che prova ad autoconvincersi che la storia possa diventare avvincente e che oltre ogni ragionevole dubbio la qualità salga sempre al potere, Ma se si prescinde dal ruolo tonante di un presidente quanto mai incerto nel suo esercizio di autorità, se non addirittura pleonastico nel rivendicarlo, due allenatori che insistono ad autoincensarsi senza il minimo di autocritica, un gruppo dirigenziale operativamente ignoto, la squadra riflette la mira imprecisa verso l'avvenire e fa tanta molta fatica ad organizzarsi in campo.

In determinati casi fa tenerezza la voglia di non disunirsi dei giocatori soprattutto la tenacia nel modo in cui il gruppo prova a slanciarsi pindaricamente in attacco finendo però per nebulizzarsi in un nulla di fatto e questo perché gli assembramenti, soprattutto in posizioni strategiche avanzate, risultano standardizzati, la mobilità è ridotta al lumicino e la capacità di creare è inconsistente.

L'ancoraggio verso il talento di Kvara - stranervoso - è il canovaccio della negligenza che annaspa nel bacino della delusione di tifosi e appassionati, che vedono oggi nel Napoli un totem con bandiera ammainata e non governano più il compulsivo sentimento popolare, taccheggiato da menti poco illuminate per cui il capitombolo del club partenopeo vuol dire godimento e ripristino di una malsana normalità, troppo comoda al calcio italiano.

  1. SOLE CHE ACCECA L'ORIZZONTE DELLE IDEE

L’errore di ritenzione di responsabilità dirigenziali di converso a quelle che il mister Mazzarri prova ad operare in maniera scriteriata, specie se si considera che la squadra neanche alla luce del sole ha un'identità; cambia di continuo assetto sulle posizioni classiche e volubilità su giocate da non potersi neanche più considerare canoniche, è il frutto di una prospettiva orientabile al modulo e non alla ricerca, esacerbata sull’insistenza su un pacchetto di giocatori da non consolidare per l'anno prossimo che neanche una pitagorica intuizione riuscirebbe a cavare da questo crogiolo di problemi.

Ma il compito è ora assemblare buone nuove per la prossima stagione. Se gli ultimi tre mesi di campionato del Napoli dovranno trasformarsi in una sorta di riprogrammazione sportiva per il più comodo atterraggio sul futuro, ad oggi la squadra appare in caduta libera, e ad onor del vero per quanto anche i migliori come Lobotka, encomiabile frangiflutti desideroso di alimentare il gioco con l'autorevolezza tra i piedi, o Kvaratskhelia si sobbarchi il peso di 11 giocatori sulle spalle e Di Lorenzo non smetta di giustificare con inezie e dettagli reconditi la carenza dei risultati, tutto ciò non censura incontrovertibili tesi sul gioco che non è soddisfacente e redditizio, oltre a non essere funzionale.

Il parametro emotivo delle motivazioni unite alla bussola economica, lascia pensare che chi resterà nel Napoli che verrà, non potrà prescindere dal fatto che a Napoli l'eccezione del risultato a tutti i costi è una bugia con le gambe corte.

  1. LO SFOGATOIO DELLA CHAMPIONS

Nella più impensabile e meno istrionica delle situazioni, per il Napoli in uno dei momenti probabilmente più bassi sportivamente della storia quasi centenaria del club, considerati i benchmark evolutivi avuti nelle ultime stagioni con il coronamento dello scudetto, supporre che adesso la squadra possa d'incanto rivitalizzarsi e mutare pelle nel doppio confronto contro il Barcellona in Champions League, che dà lustro in maniera inconciliabile ad un momento apatico, può davvero servire a sortire l'effetto osmosi sulle tossine incamerate da troppi mesi a questa parte di cui la squadra è sovraccaricata.

Giocare con il concetto del nulla da perdere addosso contro i campioni di spagna nonché una delle squadre più titolate e importanti del mondo, in un Maradona che si preannuncia comunque in ogni caso al pieno servizio dei propri idoli, potrebbe rappresentare una bella fiaba senza morale, in una stagione quanto mai scorticata di cose belle da raccontare.

Eppure il Barcellona che si presenta a Napoli a due anni dell'ultima volta dal doppio confronto in Europa League, quando per l'appunto ci fu lo scoppio nella guerra in Ucraina, è tutt'altra squadra da quella delle meraviglie mirabolanti dei fasti degli anni 90 e dei primi anni 2000, che ha dominato il mondo e conquistato la natura stessa dell’essenza del calcio, ma che oggi è certamente imbottito di campioni pur non essendo squadra stratosferica che domina il gioco ed il campo così come si era abituati a vederla.

Blagurana impreziosita di infanti talenti, mostruosi e fuori ogni misura e logica, già ben più forti di campioni rispettabili che vestono il palcoscenico internazionale, ed il Napoli che sta nel mondo del calcio con queste squadre titolate come vestali infingarde a danzagli intorno, può davvero cogliere l'occasione di giocare contro il fortissimo Barcellona smemorizzando quanto successo ultimamente, provando a riportare sul terreno di gioco una meraviglia disincantata che quest'anno non si è mai vista e cogliere l'occasione di un rilancio anche emozionale che se dovesse verificarsi darebbe tutt'altra connotazione al valore intrinseco del gruppo azzurro. L'obiettivo della Champions è da sempre stato quello di primaria importanza per la società, che anche in questo caso perorerà promesse di premi per il passaggio del turno, ormai l'unica suggestione rimasta.

  1. LO PSICODRAMMA IN PUREZZA

E’ giusto criticare quando le critiche sono argomentate, costruttive e non demonizzanti; è antipatico criticare quando il giudizio non serve neanche più a generare valore ma semplicemente ad acuire la disarmonia, il malessere e l'amarezza per quanto accade.

II Napoli ha fallito la stagione per diverse concause, addebitabili a tutti perché con molta lucidità possono essere suddivise in parte equanime tra dirigenza e giocatori esimendo il pubblico, l'unico sollevato da qualsiasi tipo di responsabilità anche solo oggettiva, che esagita nel tifo la propria voglia di amare la squadra.

Oggi la piazza vive il dramma di una squadra disillusa, che ha dimostrato a se stessa che che nello sport si può alzare la barra al livello più alto possibile ma se quella barra non si ha la forza di mantenerla in alto, il suo peso finirà per schiacciarti e oggi lo stelo della Primavera che approccia a dischiudersi in fiore, lascia imperscrutare un Napoli che per forza di cose dovrà dire addio all'eroismo dell'anno scorso. La Dea partenope è caduta.

  1. NGONGE IL MOSCHETTIERE

Molto bene l'ingresso in campo di Cyril Ngonge, volitivo e reattivo, da sprone per i compagni a lottare e a timbrare il cartellino con una buonissima predisposizione nel toccare la palla in zone nevralgiche del gioco.

Qualche modica imprecisione tecnica, ma uno spirito che serve per invertire il Trend della passività coerente con il momento del gruppo azzurro.

Bellissima ed efficace ancora una volta, la giravolta con cui il calciatore belga nel solco di Mertens, riesce a evitare la sconfitta e dare seguito a una rete che non gli era stata neanche assegnata contro la sua ex squadra, il Verona. Ngonge è stato un acquisto azzeccato per la sua poliedricità, il livello di duttilità, anche in ambito d’interscambio-posizionale e la capacità di giocare sia sulla seconda, che con la prima linea a piede invertito; resta però un giocatore ancora acerbo da doversi formare a cui non si può chiedere un adattamento forzato ed esclusivamente battagliero, trincerato dietro quei baffi da spadaccino e quel sorriso malupino da giocatore eclettico, con un sinistro pullulante giocate d’annata e skills tuttora inusitate.

Bisogna evitare che rimanga un caso isolato dentro la mistica dell'arrembaggio finale ed è bene pensare a lui come un titolare da qui al finale di stagione.