A Genoa il Napoli incappa in un'altra prestazione in chiaroscuro, avida d'emozioni pregne di motivato entusiasmo, fatta eccezione per due goal meravigliosi che salvano il risultato. Lo stesso che incomberà come una Spada di Damocle sulle motivazioni e un groppone di dubbi inconvenienti da assolvere tra le pieghe del tempo o, come si direbbe Garcianamente, tra le fatiche di una maratona di 23 giorni e partite ravvicinate in cui ci sarà modo di provare la veritiera caratura tecnica e tattica del Napoli, in apparente involuzione.

Abbiamo delineato alcune indicazioni che ci lascia in consegna la seconda trasferta stagionale in cui il Napoli continua a non fare il Napoli, abbarbicandosi su uno specchio di vividi ricordi.


1) IL GIOCO È LATITANTE


Mal s'adatta il cambio di gioco al cambio di stagione semi autunnale. Assodato che il refrain della mancata sostituzione di Kim potrebbe stangare qualsiasi dissertazione favorevole o contraria al tema della partita. Il Napoli che a Genova, contro un grifone asserragliato in difesa con pragmatico criterio, fa dello scialbismo il proprio mantra di costruzione delle azioni, è una povera vittima di sé stesso. Giocatori che (tra l'altro si conoscono molto bene) mal s'adattano reciprocamente e tanta improvvisazione denota uno spartito ancora carente nei principi base.

Abbastanza grave depotenziare Osimhen e renderlo ectoplasma per i compagni che lo vedono da lontano e gli sferzano palloni manco tesi a sufficienza per essere addomesticabili, o servire in controtempo Kvara che si associa poco inclinemente con la sua catena e con i compagni d'attacco.

Basti pensare che al Napoli che costruisce a tre, Lobotka non svolge più un compito pivotale per sveltire la manovra ed spesso è costretto a divergere scoprendo l'area mediana; i due difensori centrali sono molto larghi tra di loro, soffrendo sistematicamente l'attacco allo spazio degl'arretrati avversari ed è imponente l'inane apporto difensivo di Anguissa e Zielinski alla squadra, la quale - anche per responsabilità propria, visto che sono i cardini attraverso cui si snoda il gioco - non assembla 10 passaggi ben fatti di seguito.

Questa maschera sguaiata della squadra che dominava il gioco con autorevole e lodevole predominio, è difficilmente sovrapponibile, magari anche aderentemente, a quella che fino a qualche mese fa il gruppo possedeva come mosso da un Joypad, in cui meccanismi e consonanze tecniche si sublimavano e davano adito a raccontare buone novelle per il prossimo futuro.

Un appassionato di calcio non tifoso del Napoli vedendo la squadra di oggi direbbe che non è più la stessa perché ha cambiato l'allenatore e il difensore centrale. Ma all’interno dell'osservatorio Napoli, memori della macchina non più perfetta degli ultimi due mesi della stagione scorsa, sarebbe più coerente dire che questa squadra ha cambiato allenatore perché non riusciva più ad essere quella della stagione scorsa e necessitava di un nuovo input, non tanto motivazionale quanto dinamico.

Se replicare è possibile, imitare è labile incompiutezza dopo 4 partite. Garcia è al timone del Napoli, ma non l'ha ancora afferrato a piene mani.

2) MARIO RUI È UFFICIALMENTE UNA RISERVA

Tessere le lodi del piccoletto che svetta tra i grandi per indomito coraggio, sfacciataggine e intrepidità è cose nota nei dialoghi comuni. Per il prode Mario Rui, leader riconosciuto del Napoli, si è toccato il ponfo dell'elogio e nessuno può dire che non ci si sia sperticarti in complimenti meritati.

Ma il Rui che a Genoa depaupera consistenza, non perde occasione di buttare via la palla senza un'idea di fondo, svariare senza riferimento sul largo di sinistra, sbagliare appoggi risoluti ed evidentemente puliti, in un pedissequo disimpegno sghembo senza una vera intenzione di apportare un beneficio a sé stesso prim'ancora che alla squadra, è un terzino che non piace neanche a chi lo ha elogiato a giusta ragione. Non aiuta la squadra e risulta addirittura controproducente in talune circostanze cruente per la difesa.

Corretto, a bocce ferme, preferire Olivera a parità di condizione e fuso orario. Non tanto per un discorso di purezza tecnica, ma di abnegazione. E Mario sembra aver solo negazione a questo punto della carriera.

3) I "CAMBI" IN CORSO CAMBIANO LA ROTTA

Aurelio De Laurentiis si è speso con algido perfezionismo in sede di dibattimentale sia con la lega calcio italiana e con la Uefa per far sì che il numero minimo di nuovi entrati potesse essere raggiunto intorno al quorum delle cinque sostituzioni. Risultato che ha ingenerato notevoli cambiamenti nel calcio moderno, rimpinguando un portafoglio di soluzioni anche da parte dei tecnici.

Per fortuna a Napoli sono bastati i vecchi tre dei cinque cambi a disposizione per mutare il corso della partita grazie a Cajuste, Raspadori e Politano che, assieme ad Olivera, hanno disputato una prestazione migliore dei propri predecessori nel tempo a propria disposizione, marcando tangibilmente il corso della gara e ricordando alla squadra, ed a tutti i propri compagni, che in questa compagine campione d'Italia, che sia dal campo che dalla panchina, la qualità e l'inventiva non possono essere messe all'ultimo banco.

Una strada maestra per più di un'ora di gioco abbandonata per scorciatoie laterali dimostratesi vicoli ciechi.

4) KVARA NON È PIÙ LEGGERO COME UNA PIUMA

Basti vedere dove tira una punizione nel primo tempo (torre di raccordo) e che rimbrotto a distanza fa al Mister per capire che il Kvaratshkelia del momento cupido azzurro è un ologramma del mostro di bravura piantato al centro del cervello della squadra.

Sembra avere la vista annebbiata dalla rabbia e non solo agonistica, il fenomeno del Napoli, l'unico assieme a Lobotka che gioca a pallone da visionario. Un crogiolo di giocate senza soluzione di continuità, una buona dose di polemiche e corrucciamenti che tolgono energia utile, delle rincorse e scivolate alle terga avversarie con qualche controeffetto e il primo tiro, fiacco, della partita dopo l'ora di gioco. Poi la sfuriata che non passa inosservata con occhiata torva alla panchina sul lato opposto alla sua passerella tronfia.

Kvara in tre partite ha condensato un gioco da solista che non si sposa con le contrizioni e i gap della squadra a sostenere il suo talento dentro una sfera di confusione da cui cavarsi d'impiccio. Mesi fa Kvaratshkelia volava sul campo sulle ali dell'entusiasmo, adesso sembra aver perso propulsione e aver aggiunto più massa corporea, a discapito della rapidità sul lungo. Forse un bene.

L'impatto folgorante alla Thor sulla Serie A del 2022 è il cordone ombelicale del Napoli pieno di risorse, molte polarizzate sulla fascia sinistra, che ora manca drasticamente, da riannodare al più presto al Kvara moderno. Quell'inventiva da pendolino tutta georgiana quasi innaturale, è l'imprescindibile fattore che il Napoli deve riporre al centro di ogni discorso tecnico.

5) MANCA UN BARICENTRO

Oltre all'alchimia di squadra, e conseguente assenza di allegria, al Napoli manca una sana geometria euclidea. Riconoscibile negli allineamenti. Ravvisabile nelle trame di gioco ed estraponibile nei movimenti senza palla. Un vecchio marchio di fabbrica sdrucito.

Le mappe di calore dei centrocampisti ci mostrano che la squadra tende a essere formalmente instabile tra destra e sinistra (specie a destra dove Di Lorenzo è sempre più freccia aggiunta all'arco degli attaccanti) in un'oscillazione dissestante all'interno della quale i giocatori allungano metrature e prossimità spaziale. A fronte di una gelatina attorno alla propria metà campo del Grifone, il Napoli nel primo tempo si è lasciato otturare ogni soluzione di passaggio, anche di due-tre metri, mandando spesso l'ago della bilancia Lobokta a depistarsi sulle corsie, creando una densità in zona palla a basso coefficiente di smarcamento aposizionale per chi doveva muoversi negl'interspazi.

Valutazione vivida all'interno di uno spartito tattico sta nei centrocampisti, posti sempre spalle alla porta con un orientamento del corpo abbastanza incline alla retroazione anziché all'avanzamento è una pedissequa scomposizione del triangolo di centrocampo che ha fatto le fortune del Napoli recente.

Inoltre la difesa sembra proprio non aver codificato che cosa voglia dire alzarsi a palla scoperta per mettere in fuorigioco gli avversari, cosa praticamente mai riuscita. In tal modo il Napoli è sbilanciato o un po' troppo in avanti o un po' di troppo all'indietro, in base a un costrutto tattico che non segue delle logiche di sincronismo o di allineamento concentrico, ma solo ventilate anarchiche interpretazioni dei reparti, come quella in cui il centrale di difesa rompe la linea senza una marcatura preventiva a supporto.

6) GARCIA ALLENA MANDANDO SEGNALI

Il mister ha uno suo stile e modo d'intendere la vita prim'ancora che il calcio. È un uomo perbene, perseverantemente saggio e molto competente. I suoi metodi sono tanto meritocratici quanto discutibili, come se dovesse generare asservimento al lavoro quotidiano più che ad una somma di fattori che creino l'identità di squadra.

Pertanto sentire che Elmas e Ostigard hanno giocato titolari per mandargli un segnale di meccanismo premiale, è una teoria quantomeno astrusa. Il Napoli non è una scuola calcio, pertanto i suoi campioni sono iper-professionisti, chiamati ad essere pronti sempre, indipendentemente dalle motivazioni e dalle scelte.

Va appurato il senso di tal demarcazione dei ruoli (non quelli tattici) che assevera il concetto di carota e bastone, senza che questo produca conseguenze. Se il segnale non arriva bene, la comunicazione è fallace.

7) OSTIGARD È TROPPO FORTE "DI TESTA"

Leo Ostigard è un giovane difensore di talento, aerobicamente esalta la meccanicità delle movenze; ha uno stacco aereo da fare invidia ai felini e una faccia da militare in pieno addestramento. Una dote quella del salto che è ampiamente spiccata e si è rivelata di grande utilità in alcune partite della scorsa annata. Questa caratteristica ha ecceduto a Marassi, dove il Norvegese è salito in cielo una decina di volte sovrastando gli avversari, e in una anche i compagni, cioè Meret (che forse non ha chiamato in anticipo la sfera) in occasione del goal di Retegui lasciato solo nello sviluppo proprio in considerazione di questo svarione.

Qualche volta la propria somma capacità va ponderata ed espressa con intelligenza, perchè il furore agonistico non concede mezze misure, tutto o niente, e stavolta Osti ha preso tutto quello che c'era: la scena, la palla e anche un proprio compagno.

8) LE PARTITE TRAPPOLA SONO VELENOSE

Di avvisaglie ce ne erano state ed anche a più riprese negli ultimi 15 giorni: giocatori che con le proprie in nazionali non si erano espressi al meglio del proprio potenziale, viaggi intercontinentali o transoceanici, una preparazione atletica con dosaggio di richiami sempre nei momenti antecedenti a partite critiche da un punto di vista fisico, tempo disperso in spostamenti e pernottamenti vari in un periodo in cui sarebbe necessario allenarsi con un certo tipo d'intensità per non dare adito a controindicazioni.

Pertanto mister Garcia era stato saggio e previdente nella presentazione alla squadra della partita, insistendo che non avrebbe potuto esserci un retro pensiero rispetto al Genova, perché già determinante per il percorso in cui addentrarsi in Serie A. Invece quella trappola devitalizzante, ben millantata, ha quasi schiacciato il Napoli sotto il peso delle emozioni di un protagonismo preteso ma non dimostrato.

Per quanto fossero anche prevedibili alcune mosse strategiche di Gilardino o di atteggiamento da parte del Genoa, il Napoli è ugualmente scivolato in un burrone da cui strenuamente è riuscito a risalire la china. Così come nel caso degli animali le famose trappole possono risultare mortifere perché costituite da veleno, anche nel calcio il riferimento è poco casuale, ed al Napoli mancano totalmente gli antidoti.

9) ELMAS NEGLI ALMANACCHI DISCIPLINARI

È forse il caso di complimentarsi con Elmas che a soli 34 secondi dall'inizio della partita riesce nell'impresa titanica di farsi ammonire per un fallo di rincorsa dietro la metà campo, in uno slancio pindarico quasi fosse stato un diktat da eseguire, come un ossequioso guerriero di fascia, con licenza d'attaccare ma prima ancora di dar man forte alla propria squadra in fase di non possesso.

Elmas ha preso alla lettera quello che non avrebbe mai dovuto fare, cioè iniziare la partita con un handicap e conseguire un'ammonizione da record, che rientra nella top 20 della Serie A.

Non è imputabile al macedone un eccesso di negligenza così come non si denota un eccesso di prudenza, ma l'irruenza del pronti-via è una leggera menomazione per il proseguo della partita, in considerazione di un atteggiamento di maggior risparmio proprio in fase difensiva, per salvaguardare la parità numerica della squadra. Complimenti, dunque, ad Elmas per questo nuovo record ma attenzione a non bissarlo.

10) IL FANTASMA DI SPALLETTI ALEGGIA SU DI NOI

Senza tanta retorica per facili intendimenti, ravvisare un velato e latente senso d'impotenza mista a sconforto che la malinconia di Spalletti, ormai allenatore della Nazionale Italiana, alberga come una voragine nell'animo dei tifosi, è fin troppo evidente.

Che questa squadra durante il decorso spallettiano sia andata molto oltre i propri limiti è altrettanto evidente e questa volta gli si richiede di farlo nuovamente ma alzando ancora più i suddetti limiti.

A dirla tutta il vero limite è pensare al presente immersi ancora nel passato, con il concreto rischio di assistere ad avvenimenti vividi che ben si distaccano da un'oleatura scenica e sportiva che anche al mago Spalletti era costata almeno qualche mese di ideazione e produzione. Pertanto è inutile rimanere nel post produzione perché le gioie più intense della primavera Azzurra rischiano di ribaltare la prospettiva dell'attualità da sogno a incubo.

Il vero Napoli, non si è ancora visto.