Il Napoli è in procinto di giocare in Champions League, a Barcellona, una delle partite più importanti della propria storia quasi centenaria. Il Club spagnolo di Laporta è di per se un modello di riferimento per la società partenopea, che nelle parole dei dirigenti ha sempre professato ammirazione per l'operato profuso dai catalani nell'elite del calcio.

Qui di seguito alcune delle più risonanti informazioni dell'universo calcistico blaugrana:

  1. MES QUE UN CLUB

Un club polisportivo tra i più industrializzati al mondo, un bagaglio di esperienze tematiche da offrire alla platea internazionale, una squadra di calcio senza eguali in termini di qualità, un palmares da più 100 trofei ufficiali, circa 160 mila soci, una settore giovanile invidiato da tutto il mondo, racchiuso nello stemma di una società condivisa nelle sue pluralità regionalistiche, sotto il cappello dell’effige sportiva del “Mes que un club”. Il Barcellona è infatti molto di più che una semplice squadra di calcio. 

È il simbolo di una città, di un Paese, che è la Catalogna, con la propria lingua, e la fervida identità “diversiva”, intriso di un patrimonio storico e culturale tra i più antichi dell’epoca coeva.

 "Més que un Club" è infatti la scritta che aleggiava sulle tribune del Camp Nou e che è tatuata nell'anima di ogni sostenitore blaugrana. Oggi campeggia solo presso il centro sportivo della Ciutat Esportiva Joan Gamper costato 80 milioni nel 2006, e da allora punto di riferimento per l’ambiente sportivo europeo e internazionale, dove poter ammirare la scuola di calcio che trae ispirazione e redini dalle più radicate filosofie tramandate nel corso dei decenni da Herrera e Suarez da Michel e Cruyff, fino a Rijkaard, Guardiola ed ora Xavi, con in mezzo i giocatori più forti di sempre a calcare il palcoscenico blaugrana come Maradona, Romario, Ronaldo, Ronaldinho e Messi. Un club il cui intento è formare o acquistare giocatori per coniugare all’ennesima potenza spettacolo e risultati. Oltre ogni concezione.

  1. LE DEFEZIONI AMBIGUANTI

Balde, Gavi, Pedri, Marcos Alonso e De Jong. È l’elenco di calciatori che sicuramente non prenderanno parte alla sfida di Champions contro il Napoli a cui si aggiunge l'incognita delle disponibilità di Ferran Torres e Rafinha malconcio. Una pletora di fenomeni assoluti e frecce che certamente mancheranno all’arco di Xavi per decidere la sfida cruciale nel ritorno degl’ottavi di finale.

Mancanze significative che scoprono i pilastri di una formazione non più “tipo” e senza una configurazione otteziale che crea energia, per utilizzare una metafora afferente alla chimica.

Per evidenziare la coperta corta del Barça in questo momento, basti pensare che nell’ultima partita casalinga contro il Maiorca, in panchina sono rimasti solo calciatori canterani che hanno calcato il terreno di gioco ufficialmente per un totale di 85’ minuti complessivi.

Sono le defezioni certe che impongono una nuova identificazione della squadra che ripetutamente sta schierando i vari Guiu, Yamal, Fermin e Cubarsi, tutti autoctoni e neanche maggiorenni. I soli Araujo, Cancelo, Felix, Gundogan ed Lewandowski sono i campionissimi affermati che governano la performance della squadra e addosso a cui vanno imputate maggiori attenzioni, con la sensazione tangibile negl’ultimi tempi che i grandi “vecchi” giocatori ibridati con i giovani grandi calciatori possono assurgere a comportamenti incompatibili in campo.

  1. L’EPOPEA DEL TIKI TAKA

Il tiki taka è un neologismo di coniazione sportiva entrato di diritto nei vocabolari cronachistici, introdotto nella vulgata moderna dal giornalista Andrés Montes de “La Sexta” in riferimento alla nazionale di calcio spagnola. Quel termine ha preso autenticamente vita con il Guardiolismo che a cavallo tra il 2009 e il 2014, guidando i fuoriclasse del Barcellona migliore di sempre, è deflagrato in un’espressione olistica di calcio senza precedenti, unendo maestria nel palleggio insistito e trasversale, movimenti aposizionali senza soluzione di continuità, sublimando tecnica e controllo del pallone, inibendo gli avversari col presupposto di difendere attaccando.

Il periodo dei pluridecorati e invincibili blaugrana è scemato nelle ultime stagioni, seppure il Barça permanga club di primo rango, quel modello intrattenitivo e sensazionalistico di calcio non c’è più nella squadra attuale, più attitudinalmente votata al gioco di possesso non condizionato con una verticalità non esasperata bensì al contrattacco, che trova nel centravanti polacco una stura meravigliosa, sia nella manovra che nella rifinitura. Le ottime doti dei centrocampisti di Xavi (che ad esempio ha trasformato Christensen in un mediano di pregio) sono un deterrente alla cortina di gambe delle difese avversarie, per aggirarle o infiltrarle con passaggi illuminati, ma non sempre questo è l’intento e diventa spesso una forzatura nella soluzione di gioco.


Quel palleggio imperturbabile ed estenuante dei tempi d’oro non è più perseguibile dal Barcellona attuale, nè per morfologia dei calciatori né tanto meno perchè Xavi imponga il possesso insistito della palla, orientando nel recupero alto ed al dialogo con il pallone negl’interspazi la prerogativa essenziale per offendere. Di per sé è già un sollievo pensare che si è nell’epoca in cui quando si gioca contro il Barcellona non bisogna dare per assodato che non si vedrà mai palla…

  1. IL CALCIO ‘OLIMPICO’ DI MONTJUIC

Dal prossimo anno il Barcellona tornerà a vivere la magia del Camp Nou nella sua visione riqualificata, rimodernata ed avveniristica, capace di ospitare quasi 100.000 spettatori. I ricordi dello stadio leggendario che necessitava di modifiche e migliorie dopo anni da main stage d’europa, sono sbiaditi nell’ultimo periodo nella freddezza dell’impianto atavico ed un pò vetusto del Lluis Companys, sulla magnifica collinetta di Montjuic, primo stadio olimpico dei giochi a cinque cerchi del 92’, ormai passato di moda, che ha un fascino del tutto vintage ma non incendiario per la fantasia. Ai catalani e barcellonisti non piace questo impianto, sia per ubicazione, sia per scenario e perchè troppo distante dal campo di gioco, pertanto le presenze sono inferiori alle medie vertiginose del vecchio Camp Nou.

Un teatro sportivo che raramente si è riempito quest’anno e che per la prima volta in Champions contro il Napoli esautorerà tutte le sue unità disponibili, nel solco di un’identità che in un impianto non nato esclusivamente per il calcio, sembra essersi smarrita.

  1. UNA CANTERA INEGUAGLIABILE

Si chiama La Masia, è il più famoso settore giovanile iper-attrezzato che ci sia in Spagna. Lì vi sedimenta terreno fertile da decenni per fabbricare i più forti giocatori, già in età infantile, e tramutarli in fuoriclasse assoluti. I talenti che ha sfornato il Barcellona nel corso dell’ultimo ventennio sono innumerevoli, molti di questi hanno segnato indelebilmente la storia del gioco e si sono consacrati come i migliori calciatori della propria epoca. 

Alcuni girovagano per l'Europa prima di tornare alla base per rimettere alla prova il proprio rendimento massimo. Pedri e Gavi in esempio, sono due autentiche stelle del calcio mondiale, che creano gioco a tutto tondo per il campo, evoluzioni generazionali dei loro precursori Xavi, Busquets, Iniesta e Fabregas.

Ma è nel novero degl’ultimi esordienti che il Barça sta sfolgorando le proprie nuove leve: Casado, Cubarsi, Faye, Hernandez, Guiu, Fort e Roque (acquistato 16enne) sono gl’infanti che dovrebbero giocare con la cantera, invece stazionano in pianta stabile (anche per causa di forza maggiore) in prima squadra. Fermin e Yamal sono addirittura titolari fissi, nonché giocatori decisivi ai fini del risultato, battendo già alcuni record di precocità sbalorditive. Veri e propri predestinati.

È sulla linfa e l’incoscienza dei suoi giovanissimi super talenti, che il Barcellona di Xavi, per sua scelta a priori, sta già plasmando il futuro.

  1. LEWANGOALSKI

Robert Lewandowski è uno dei centravanti più efficaci e potenti del pianeta. Nel Barcellona ha proseguito la sua scia da goleador implacabile che ha marcato le storie recenti di Borussia Dortmund e Bayern Monaco.

In carriera ha segnato quasi 700 goal, molti di fattura pregevolissima da stropicciarsi gli occhi e nel club catalano ha aggiunto qualche nuovo trick al suo repertorio da centravanti completo, macchina da gol in senso stretto.

La crasi del suo nome con il gol, per l’appunto Lewangoalski si addice aderentemente alle caratteristiche dello stoccatore principe del Barça, con la sua famelica capacità di vivere l’area di rigore con perfido senso del gol e l’attitudine ad essere infallibile sotto porta. Nelle ultime annate ha aggiunto molte giocate fuori d’inventario al suo modo di presenziare fronte porta. Il tiro dalla media lunga distanza è ormai un marchio di fabbrica, il colpo di testa in sospensione è una garanzia e la rifinitura per l’inserimento è un elemento corroborativo della sua tecnica individuale. Ad accrescere l'aura di giocatore “superiore” c’è la capacità atletica ed aerobica in condizioni per molti proibitive e la forza nei corpo a corpo con i difensori, che spesso lo rende immarcabile.

  1. I GOAL TRA LE LINEE DI PASSAGGIO

Il calcio di Xavi è fin troppo associativo ma non per questo meno convenzionale per il gioco moderno. La sua squadra si identifica con un 4-3-3 con due vertici, uno alto e uno basso, che galleggiano tra gl’interspazi e fungono da sliding player per i passaggi chiave che scavalcano i reparti avversari.

Xavi ha mirato a costruire una formazione di grande dinamismo, che muova il pallone con la solita maestria ma senza interrompere la frequenza di passaggi con un ciondolamento sulle posizioni medie, ma con continui scambi di movimento e nuove individuazioni di spazio per il fraseggio corto e preciso.

La linea difensiva è spesso goniometrica e rompe la retta solo per creare superiorità numerica, mentre il centrocampo è un cioccolatino da scartare in tutte le sue calamitazioni verso la sfera, con quella palla avanti e palla dietro e poi l'extra pass che riesce quasi sempre a liberare calciatori smarcati, lasciando perdere particolari sofismi.

L’abilità dei singoli a passarsi la palla anche da marcati è lampante, ed anche ineludibile per un club come il Barça che ha nel DNA la qualità del gioco. La leva motrice della squadra è chiaramente la coralità, e il suffragio alla vittoria sta tutto nella riconquista sul terzo tocco degl’avversari, replicando la fluidità di palla con altrettanti tocchi trasversali. Un calcio liquido, inteso come fluido oggi giorno, in cui il protagonista assoluto è il pallone, che può passare ovunque.

  1. XAVI HERNÁNDEZ, EL “CEREBRO”

Non necessita presentazioni Xavi Hernandez i Creus, uno dei giocatori più vincenti di tutti i tempi e un allenatore in rapida ascesa già pronto in pochissimo tempo per i più sfavillanti palcoscenici internazionali, richiamato alla casa madre dal presidente Laporta a furor di popolo. La sua ascesa da tecnico del Barça non è stata semplicissima; seppure l’anno passato abbia vinto la Liga, nelle coppe europee è incappato in piccoli buchi neri impreventivati e per due anni e mezzo la continuità della squadra non si è praticamente mai vista nel lungo periodo.

Da contraltare, i risultati non restituiscono pienamente la figura maniacale ed allo stesso tempo severa di Xavi, che ha dalla sua la capacità di ragionare nella selezione dei giocatori da annettere al suo spartito tattico, da pragmatico osservatore da giocatore così come da allenatore, valorizza i giovani senza condizionamenti e inserisce con intuizioni geniali giocatori che esibiscono caratteristiche e potenziale da esprimere o non espressi a pieno.

La fiducia in Araujo e Balde, la perseveranza nel voler Inigo Martinez al centro della difesa, la variante adattata su Christensen centrocampista, Koundè dislocato in fascia, il reintegro del bravo Romeu come pivot, la scelta di affidare a Gavi e Pedri gli snodi del gioco, il lavorio sul metodo “Gundogan” e la rivitalizzazione di Cancelo e Felix sono solo alcuni dei meriti attribuibili a questo allenatore molto aggiornato e spavaldo che non ha mai paura di rischiare, in pieno stile catalano.

A fine stagione cambierà il proprio corso sulla strada già intrapresa da allenatore, ma con questi crismi è difficile che lo si vedrà fallire.

  1. FONDAMENTALISMO BARCELONISTA

Il Barcellona è una scuola di stile dentro la pianificazione dei talenti in fieri, mettendo l'identità cuturale al centro. E' uno dei club più tifati al mondo, in Sudamerica ed America orientale vince per distacco sulle altre potenze sportive continentali per la sua presenza con academy e centri di formazione o beneficenza. Il brand Barça si è espanso nell'ultimo ventennio a macchia d'olio in ogni parte del globo, coadiuvato dalla forza economica, fiorente turismo urbanistico, attrattive regionali e super esponenti di rappresentanza in ambito sportivo. I catalani, anche se non tifano apertamente per il Barcellona, ma sono legati al fenomeno che il club della Masia ha esportato ovunque, proponendo un modello di calcio unico e calciatori ineffabili.

Per anni il Barcellona è stata la più prolifica fucina di talenti che il pianeta calcio abbia mai visto; la capacità di valorizzazione di tutta questa specie calcistica di neo eletti si è dispersa nelle pieghe del tempo, e non tutti i giocatori giovani di evidente bravura hanno avuto l'onore di vestire la 'camiseta' balugrana per parecchio tempo, ma è bastato considerare che avessero quell'estrazione calcistica per battezzarne il talento.

Tutto l'ambiente del Barcellona si è assorto ideologicamente in una maniera di concepire il futbol elevata al senso di gusto più espicito che il gioco possa far concepire, sempre con il conforto di giocatori di notevole spessore e tecnica; e per questo motivo essenzialmente, il calcio che si è visto e rivisto a Barcellona è stato 'reinventato' da coloro che si sono passati il testimone nel corso della storia, fin lì dove i catalani hanno assunto che non possa esistere un Barcellona senza creatività e senza canterani, nati con la genetica barcellonista.

  1. L’IDENTIFICAZIONE DEL TALENTO MILLENNIAL

Tra le squadre iconiche che hanno marchiato un'era calistica c'è senz'ombra di dubbio il Barcellona di Guardiola e Messi, considerati i migliori in senso assoluto nella storia dei questo sport, nei rispettivi ruoli. E' nella predisposizione trasngenerazionale che tutti coloro che sono arrivati dopo di loro hanno avuto nel continuare a proporre il proprio gioco in maniera non indidivudalistica ma collettiva, che è da ricercarsi l'apice dei successi avuti anche dopo Messi e Guardiola.

Anche se il Barcellona non vince la coppa dalle grandi orecchie dal 2015, nei nove anni successivi, è prima dovuto andare incontro ad epurazioni necessarie e destrutturamenti finanziari che hanno ribaltato una squadra a fine ciclo da qualche stagione, ed oggi i grandi calciatori, che non tardano mai ad essere acquistati, sono mesoclati con i più forti giocatori giovani del panorama europeo. Gavi è il top player che tutti vorrebbero, fenomeno di centrocampo che frulla tecnica, grinta e resistenza oltre all'impervia caparbietà nel andare sempre a sporcarsi le scarpette in attacco e in difesa. Mentre Pedri è un fuoriclasse fulminante, destinato a diventare tra i migliori calciatori in attività.

Al gradino inferiore della scala di valori e di anagrafe, su tutti svetta Yamine Yamal, nato in un ghetto di Barcellona da genitori stranieri, che mette in campo un talento impressionante per la tenera età. Il ragazzo di vulgata ispanomarocchina, è già determinante nel gioco del Barça, tira fuori dal cilindro colpi insospettabili ed un innesto di giocate d'alta classe che si diramano senza sosta e lascia imbarazzati nel pensare che non abbia ancora terminato lo sviluppo psico-fisico.

A lui si assommano Fermin e Guiu, che hanno già intriso la loro presenza di un goal ed il promettentissimo centrale difensivo Cubarsi, tutti minorenni e già pronti per il calcio dei migliori da vivere da dominatori della scena.

Sono questi i giocatori che il Barcellona si fa in casa e senza neanche sforzarsi più di tanto. Nell'ultimo biennio in partiolare ha fatto anche più del dovuto per creare un potenziale undici titolare di soli, talentuosissimi, catalani.